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Ci sono parole, comportamenti, oggetti che ci aiutano ad alleggerire la degenza di un amico o un parente all’ospedale?

“Sono in ospedale... mi vieni a trovare?”
“Ma certamente!”
La risposta ci nasce spontanea: è un gesto di calore umano e di vicinanza in un momento difficile, ma poi ci ritroviamo a guardare nella borsa sperando di trovare insieme alle chiavi di casa ed al biglietto del tram anche qualche suggerimento su che cosa dire ad una persona ricoverata.
Davanti a noi c'è una persona sofferente sotto l'aspetto fisico e psicologico, provata e sola: allo specchio cerchiamo di capire che faccia fare per cercare di tirarlo su di morale.

Per diverse peripezie di vita passo molto tempo in ospedale e mi sono trovata da entrambe le parti.
Non è facile nessuna delle due prospettive ma ho avuto l'occasione di farmi una chiara idea di che cosa, da paziente, sia di aiuto od ostacolo nella relazione fra un ricoverato e chi lo va a trovare.
Ad esempio: quando si ha la sfortuna di essere ricoverati nel periodo delle festività invernali, diffondere carole di Natale crea un'atmosfera di immensa malinconia.
Siamo lontani da casa in un posto orribile (inutile girarci intorno) quando la cosa che più desideriamo è proprio essere a casa, inutile nutrire questa sensazione di lontananza con la musica. Datemi il reggae, le musiche caraibiche o anche i Pantera ma NON le canzoni di Natale.

Ho apprezzato invece moltissimo chi mi porta libri, così come apprezzo chi me li legge. Non è sempre facile tener su un libro quando si è collegati ad aghi e tubicini; una voce amica che mi permette di chiudere gli occhi e tuffarmi in una storia è un grande regalo. Libri, quotidiani, letture di notizie interessanti, va bene qualunque cosa appaghi la curiosità della persona allettata. Che poi vi ci voglio, a leggere con passione e carisma interpretativo una rivista di informatica o sugli ultimi modelli di cronometri da polso!

Di grandissimo, fondamentale sostegno è la visita della persona con la quale si ha un feeling profondo che si offre di compiere per noi qualche operazione nella quale siamo temporaneamente impossibilitati, come lavarci i capelli, raderci, cambiarci il pigiama.
Gli infermieri incontrati nella mia vita di paziente non si sono mai tirati indietro davanti a queste incombenze ma sappiamo tutti che sono oberati di lavoro; inoltre, un atto del genere compiuto da una persona alla quale siamo legati non fa che rafforzare il rapporto.
Le risate che ci faceva fare il marito della mia compagna di stanza, impegnato con scarsissimo successo a smaltarle le unghie, risuonano ancora nella mia mente allietando il ricordo del ricovero.

Ridere: ecco, per me, la parola magica. Ci sono momenti della vita nei quali è bello perdersi nell'introspezione, nella vastità delle grandi domande, negli argomenti che hanno appassionato i filosofi di tutte le epoche... eppure quando sono sdraiata su un letto snodabile attaccata a mille tubicini preferisco la maschera della commedia a quella della tragedia.
Do via libera quindi ai film comici ed a tutto quello che può seminare sorrisi attorno a me.
Credo molto nella clown terapia, che oggi è quasi solamente appannaggio dei piccoli; mi viene in mente che sarebbe favoloso se ne esistesse una versione per adulti fatta di sketch alla Zelig capaci di distrarre l'ammalato dalla vita dell'ospedale.

Ecco un'altra parola chiave: distrazione!
Così come si portano i giocattoli nuovi ai bambini per farli astrarre dal luogo dove si trovano, anche per i grandi lo svago rappresenta un prezioso regalo. Un classico è la signora Ornella che si siede accanto al letto dell'amica Bice e comincia a raccontare le vicissitudini della vicina, oppure il signor Mauro che racconta per filo e per segno tutta la partita della Juventus all'amico Gioele, con tanto di enfatica telecronaca. Senza contare che ci sono un sacco di passatempi che è possibile fare anche da sdraiati, dalla briscola ai giochi di ruolo.

Concludo con un pensiero: credo che la cosa più importante nel visitare un malato sia portare con noi nella borsetta l'empatia che ci porta ad ascoltare ciò che vuol dirci la persona. Saremo pronti ad accogliere la sua paura, la tristezza, la preoccupazione portandone via un pezzetto: che non significa trascinarla fino a casa nostra e farcene carico, ma buttarla nel primo cestino disponibile e sollevare il nostro amico da un grande peso.

...e buona guarigione a tutti!


In disabili.com:

Psicomotricita' per adulti: i “grandi” si mettono in gioco

La mia storia di disabile solare, perche' io non sono la mia disabilita'
 


 Lila Madrigali

 

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