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La nostra intervista a Consuelo Battistelli

Dopo l'articolo su lockdown e persone sorde, oggi affrontiamo la domanda: come vive una persona cieca il lockdown legato all’emergenza Coronavirus? Le Istituzioni stanno facendo abbastanza per tutelare la comunità di chi non vede? Ce lo siamo fatti raccontare da Consuelo Battistelli, esperta di disability management che si occupa di diversity&inclusion in una grande multinazionale.

La cecità è un deficit che si manifesta soprattutto quando si entra in relazione con gli altri. Essendo cambiate in questi giorni, per cause di forza maggiore, le modalità di relazione tra le persone, come ha influito e sta influendo questo sulla tua vita? Quanto sono aumentate le barriere sensoriali per te?
Credo che tra le tante difficoltà una delle maggiori sia effettuare la spesa online in un periodo in cui tutti si rivolgono ai servizi online e quindi ci sono difficoltà nel trovare gli spazi di consegna e ovviamente per chi non vede è complicato avventurarsi al supermercato, in questo momento più che mai dovendo obbligatoriamente utilizzare i guanti che sono una barriera al tatto.
Tuttavia sto notando che, pur nella difficoltà psicologica che tutti condividiamo in questo periodo, a noi disabili dovrebbe essere riconosciuta una maggiore resilienza, una capacità più allenata di adattarci e reinventarci e di trovare soluzioni per “aggirare” gli ostacoli.

L'idea di poter tornare, nella tanto nominata "fase 2", a uscire di casa ma senza la possibilità di contatto fisico con gli altri, oltre a ridurre al massimo il contatto con le superfici, è una prospettiva realistica per persone per cui il tatto è un senso così importante?
Come dicevo prima, l’utilizzo dei guanti toglie a un cieco l’uso del tatto e la sensibilità e limita la capacità di comprendere il mondo circostante attraverso questo senso. Non esiste per noi una soluzione alternativa, quindi sarà una limitazione da affrontare necessariamente.
Oltre a questo, è chiaro che l’accompagnamento alla mobilità non potrà rispettare la distanza di sicurezza prevista di 1 metro quindi credo sarà necessario prevedere una deroga di qualche tipo.
Credo che la sfida più grande, dopo un primo periodo gestito in maniera molto più tecnico-procedurale che empatica, sia quella di costruire la “fase 2” studiandola non solo nei suoi aspetti economici e organizzativi ma anche sul piano culturale e psico-affettivo.

Siamo inondati di comunicazioni: siti internet, numeri di emergenza, ecc. Sono tutte accessibili per voi? Cosa non lo è e dovrebbe esserlo?
Fortunatamente non ho dovuto avere a che fare molto con i siti delle Istituzioni ma ho saputo che, per esempio, il modello di autocertificazione messo inizialmente a disposizione sul sito del Governo non era accessibile.
Il problema qui non è la tecnologia, quella sicuramente non ci manca, ma è l’accessibilità e la fruibilità di questa tecnologia. È fondamentale sottolineare che accessibilità e usabilità non sono la stessa cosa e che curare la prima non sempre garantisce la seconda.
Purtroppo in questa fase emergenziale si è puntato più a mettere al centro il servizio che la persona, servizio che deve adattarsi e non viceversa! Come dico sempre: non dovrebbero esserci cittadini speciali o con bisogni speciali ma ci sono modi speciali per soddisfare agli stessi bisogni di tutti.

Parlando di didattica a distanza e/o smartworking, quali possono essere le limitazioni per una persona cieca? Quanto le Istituzioni si sono occupate e preoccupate di dotare i propri cittadini di strumenti adatti e metterli così nelle condizioni di seguire le lezioni o di svolgere il proprio lavoro? Quanto, invece, ci sarebbe ancora da fare?
Senza entrare nel dettaglio di piattaforme o app posso dire che esistono diversi strumenti che permettono di continuare a lavorare abbastanza regolarmente, almeno nel mio caso. Indubbiamente però esistono differenze tra aziende ed enti sul piano dell’utilizzo della tecnologia e della capacità di sfruttarla nella maniera più adeguata quindi è probabile che anche l’“accesso” a quello che mi piace più definire in questa situazione, telelavoro sia differenziato da caso a caso.
Parlando di didattica a distanza, invece, lo sviluppo delle piattaforme si è concentrato esclusivamente sugli aspetti tecnici e non su quelli didattici, apparendo come un servizio rivolto ad un cliente o a un target. La condivisione della conoscenza e la trasmissione del sapere sono state oscurate dall’esigenza pressante di sostituire le attività svolte nel mondo fisico con altre ritenute equivalenti senza alcuna preparazione, cura, progettazione, sensibilità e partecipazione.
In generale, quindi, la criticità fondamentale deriva dalla prevalenza assoluta del profilo ingegneristico informatico nella impostazione progettazione e realizzazione di piattaforme, strumenti e processi. Il punto è che non si tratta solo di tecnologia ma anche e soprattutto di metodologia e formazione che deve essere fatta a priori e non arrabattandosi nell’emergenza.

Concludiamo con uno spazio tutto per te: che suggerimenti diamo al Governo e alle istituzioni in generale per stare correttamente al fianco delle persone cieche in questo periodo di crisi nazionale?
Va ripensata la didattica che non può essere una replica di quella in aula o un esclusivo ricorso al videolearning. Occorre partire non dalla tecnologia ma dalle esigenze e dai bisogni dell’utente. Prima si riconoscono queste e poi si progetta e realizza qualsiasi cosa in campo informatico.
Un buon disability management, che le Istituzioni dovrebbero introdurre nella propria pianificazione sul breve, medio e lungo periodo, dovrebbe occuparsi di questo: strutturare bisogni ed esigenze delle persone che deve includere e condizionare con essi l’utilizzo delle piattaforme e delle modalità di lavoro alternative a quello fisico. Solo così potremo essere preparati in caso di analoga crisi e convertire le misure emergenziali adottate in questi mesi in uno standard rispettoso di tutti i cittadini, indipendentemente dalle abilità.

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Alessandra Babetto

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