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locandina del film Fuga di cervelliIl 21 novembre è uscito nelle sale “Fuga di cervelli”, un film irriverente e comico che vede tra i personaggi principali due disabili. Noi l’abbiamo visto, e abbiamo incontrato per voi il regista Paolo Ruffini e l’attore Frank Matano, star di YouTube

 

Siamo abituati a vedere la disabilità rappresentata al cinema avvolta da un velo di purezza e spesso di pietismo, talvolta strumentalizzata al fine di denunciare degli abusi, o per emozionare davanti alla forza di sentimenti “politicamente corretti”.

Le cose però, almeno al cinema, stanno iniziando a dare dei segnali di cambiamento radicale: chi l’ha detto che i disabili debbano essere tutti “santi”, per via della loro condizione?  La disabilità può essere anche rappresentata utilizzando toni diversi, più leggeri e scanzonati, come succede in “Fuga di cervelli”, il primo film di Paolo Ruffini come regista.

Per saperne un po’ di più di questo film dove Ruffini interpreta un ragazzo non vedente che ne combina di ogni insieme ad altri quattro amici – tra cui uno in carrozzina – lo abbiamo incontrato in occasione della promozione del film, insieme all’attore Frank Matano e al produttore Maurizio Tottisentite un po’ cosa ci ha detto tra un autografo e una foto coi fan!

 

 locandina di Fuga di cervelli con Paolo Ruffini e Frank Matano

 

 

Come mai hai scelto che il protagonista fosse cieco?

"In realtà il film che abbiamo fatto è ripreso come idea, per la maggior parte, da un film spagnolo, che aveva già proprio questi protagonisti, cioè due dei cinque erano uno non vedente, e uno sulla sedia a rotelle. Noi l’abbiamo ripreso, quindi non è stata una scelta mia. Una scelta è stata quella di accogliere una sfida un po’ complessa.

In un paese come la Spagna, dove c’è magari più di apertura rispetto a certi temi… io vedo che da noi c’è sempre un po’ più di timore rispetto a certe cose: “Quasi amici” ne è la dimostrazione, che ha sdoganato con grandissima leggerezza qualsiasi tabù. Noi siamo sempre un po’ restii a scherzare su tutto: io son convinto che quando non si scherza su tutto, vuol dire che è un problema. Un problema per me non lo è;  può essere una questione del come si può scherzare su certe cose, però non è un problema. Se l’handicap diventa un problema sociale, la vedo come una cosa che non mi torna".

 

Qual è stata la difficoltà principale nell’interpretate una persona cieca, e come ti sei allenato?

"Mi sono allenato andando all’Istituto Nazionale di Persone Non Vedenti, ho fatto un bel percorso dove sono stato due o tre ore al buio: ho mangiato, sono andato in giro, hanno cercato di riprodurre tanti ambienti, tipo il mercato, la strada, il ristorante, il bar, l’alimentari, una passeggiata… insomma è bellissimo, un percorso bellissimo che sta a Milano, che consiglio a tutti. Ho visto che il presidente (Cav. Di Gran Croce Rodolfo Masto, non vedente a causa di un grave difetto alla vista che ha sin dalla nascita, n.d.r.) a volte inciampava meno di me ed era molto più sicuro di sé rispetto a quanto lo fossi io.
Ho poi parlato con delle persone non vedenti e ho cercato di capire per esempio cosa sognano i ciechi dalla nascita: è una cosa che mi ha sempre affascinato, ad esempio come sognano l’amore… credo che abbia a che fare con l’immaginazione allo stato primordiale, quello più puro.

Ho capito che fondamentalmente è un handicap grossissimo perché una importante percentuale del nostro bagaglio cognitivo e della conoscenza che abbiamo deriva dalla vista, quindi non avere questo senso è una grossa perdita.
Romanticamente non poter vedere un cielo stellato, mi diceva una ragazza, è una cosa che lei sogna, ma lo sogna in un modo che non riesce a descrivermi, quindi è un po’ complesso. Io ho cercato di creare un personaggio che non ruotasse intorno all’idea di essere un non vedente: quando descrivo il mio personaggio dico che è un cazzarone, un casinista pazzesco, che è lo stratega del gruppo, che è uno che combina mille casini, che è un non vedente… secondo me l’importante è che la malattia non determini la persona. Cioè la connotazione psicologica del personaggio non è la patologia o l’handicap: l’handicap è una condizione in cui il personaggio si trova. Sono sempre convinto che la personalità debba prescindere necessariamente dalla disabilità".

 

Ti sono state mosse delle critiche da parte di disabili, ed esponenti della disabilità?

"Paradossalmente no… Si critica tutto, ma fortunatamente ho avuto solo complimenti. Son contento, anzi, ho avuto degli appoggi, per esempio per Alonso (interpretato da Andrea Pisani, n.d.r.), il personaggio sulla sedia a rotelle, la carrozzina  me l’ha data un ragazzo che si chiama Danilo Ragona che è bravissimo, studia e architetta degli ausili per disabili. E lui mi ha detto: “Ma perché le sedie a rotelle devono far tutte schifo? Sono brutte, son di metallo, sono grigie…. Son delle schifezze”. Per associazione, allora, quando vedi ausili legati  alla disabilità, pensi che sia brutta, grigia, triste, tetra… lo stesso motivo per cui quando vai in ospedale trovi questi muri orrendi, sbiaditi… cioè, perché il muro di un ospedale non può essere verde acceso o giallo…
Lui mi ha detto: “Cavolo la mia sedia a rotelle deve essere fichissima! Cioè dev’essere proprio bella, perché un ragazzo non può avere una sedia a rotelle bella?".

 

Un’ultima domanda: dopo questo film, dopo il percorso che hai fatto, è cambiato qualcosa dal tuo punto di vista riguardo alla disabilità e alle persone disabili?

Io mi sono occupato molto di psichiatria e di patologie mentali per interesse personale: ho fatto dei documentari, uno si chiama “Secondo te”. Sono andato in un centro di recupero per malati di mente e ho chiesto “secondo te?”, poi sono andato in mezzo alla strada, ho fermato venti persone e ho chiesto “secondo te?”, infine ho fatto la stessa domanda a dei bambini.
Quindi mi ero concentrato molto sulla psichiatria e sulle patologie mentali, ma sul tipo di disabilità trattate nel film mai.
Ora  dici, mi è cambiato qualcosa? Sì, a pensare da non vedente per un po’, anche se solo per quei pochi minuti in cui recitavo, mi è cambiata un po’  la percezione, ma mi ha cambiato di più fare quel percorso al buio. Non mi è cambiato chissà cosa rispetto a prima: quando vedo un ragazzo disabile, non mi viene da pensare “lo tratto normalmente” perchè in questo modo, nel momento in cui specifichi, metti una distanza. La distinzione ci dovrebbe essere soltanto nella misura in cui una persona disabile deve avere la stessa opportunità che ho io: a livello concreto parlo di città accessibili e parcheggi riservati, ad esempio.  Quelle son cose che vanno da sé, che non riguardano però la coscienza…poi comunque credo che debba fare la fila come la faccio io quando compro i pop corn al cinema… ho detto una cosa cattiva?!”.

 

…secondo voi? Secondo noi no, e secondo noi finalmente parlare di disabilità col sorriso è un bel passo avanti per tutti – disabili e non.
Se questa intervista vi ha incuriosito non perdetevi nelle sale “Fuga di cervelli”, e se non vi ha incuriosito…guardatelo lo stesso perché è divertente, fa ridere, ma lascia spazio anche ad alcune riflessioni, e ne vale sempre la pena!

 

 

Per info:

Fuga di cervelli

 

 

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Elisabetta Pometto

 

 

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