Menu

Tipografia
Abbiamo ricevuto in redazione queste due storie! Chi le ha inviate ha voluto rimanere anonimo. Noi le abbiamo lette e ci sono sembrate interessanti, per questo abbiamo deciso di pubblicarle cosi' come sono.

FERMO - ""Ma come siete bravi, ma come siete bravi, ma siete proprio straordinari, voi! Noi no, noi non riusciremmo mai". Ci dicono queste cose,gli altri. Ci negano il diritto a essere considerati persone normali e in questo modo ci allontanano, ci trattano come degli alieni. E invece, vedi,siamo persone qualunque. La nostra e' una casa aperta, dove si entra e si
esce, e noi siamo una coppia che pensa di avere giocato al meglio la sua vita".

Primo pomeriggio d'inverno in un piccolo casale di pietra sulle
colline alla periferia di Fermo, nelle Marche. Fuori, un prato verde con vista sul mare lontano, una casetta dove una cucciola mezza dalmata e mezza pointer abbaia e sta in punizione per aver fatto secco il pavone dei vicini,mentre il gatto Ulisse ci fa strada dentro il soggiorno affollatissimo.

Clara e Marco Luciani vivono qui con i loro tre figli "biologici" e con il piccolo Andrea, disabile di quattro anni in via di recupero, adottato dopo un periodo di affidamento. Loro, come se fosse una cosa da tutti, aprono da sempre la casa ai minori in difficolta', li crescono, li amano e li educano -
"contenendo l'affettivita' che scatta" -, li aiutano a diventare persone,continuando a volergli bene li riconsegnano poi alla famiglia di origine e al mondo. Clara e Marco si conoscono da ragazzi. Oggi sarebbero due avvocati se a Fermo non si fosse scatenato un uragano, tanti anni fa.

A sconvolgere queste colline, la vita sobria, quieta e operosa della regione piu' tranquilla d'Italia - alla meta' degli anni Sessanta - arriva un uomo che e' ancora oggi una leggenda. Un eroe della solidarieta', uno che gira il mondo per aiutare gli altri. Si chiama Franco Monterubbianesi, ed e' un giovane prete alternativo quando, nel 1966, decide di liberare un gruppo di
handicappati da un istituto e di occupare con loro una villa abbandonata dalle parti di Capodarco. L'effetto di questa scelta, sugli studenti della zona, e' dirompente. Ragazzi e ragazze annoiati, abituati a sdraiarsi al sole negli stabilimenti di Porto San Giorgio, con le bici parcheggiate e mamma e papa' sotto l'ombrellone che discutono del loro futuro, mollano presente
solido e avvenire garantito e scelgono di unirsi a don Franco, il primo che ha avuto il coraggio di portare "quelli" sulla spiaggia, suscitando uno scandalo di cui ancora, 34 anni dopo, si parla.

Marco e' scout, ha 17 anni, decide di buttarsi dentro quella strana villa. Il suo ruolo? "Ero lo straccivendolo, giravo per le case, chiedevo vestiti usati, li selezionavo nelle parrocchie e li rivendevo ai grossisti, era l'unica entrata della comunita'. Il nostro obbiettivo: strappare al loro destino i pazzi, i
disabili, i disperati abbandonati e dimenticati in quelli che allora erano veri e propri lager. Trasformare degli invisibili in persone che potessero uscire, partecipare. La nostra utopia: uno stile di vita comunitario, dove potessimo dividere tutto con gli altri".

Marco realizza il suo sogno: apre nel 1975 un negozio di dischi e di strumenti musicali gestito da handicappati. Uno choc, ma funziona.

Clara lascia l'università e lavora - lo fa tuttora, al mattino - assieme ai ritardati mentali.

Da giovane coppia a famiglia affidataria, "un patto d'amore, una scelta condivisa ma non facile". Oggi e' un quadro-collage con tante facce sorridenti a raccontare i vent'anni di matrimonio di Clara e Marco. "Il primo ragazzo doveva fermarsi una notte, era un disadattato, senza casa, senza amore. E' stato con noi nove anni, ora lavora, si e' sposato. Ma ne sono passati tanti (intervengono i figli Simone, 23 anni, Stefano, 17, e Serena, di 11 - fanno i nomi dei loro fratelli e delle loro sorelle sparsi nel mondo), c'e' stato anche moltissimo dolore. Questo qui, vedi, e' Luciano.
Ci ha lasciati nel 1999, dopo due anni di tormenti, di trapianti e di chemio, per un'anemia rarissima. L'abbiamo assistito con l'aiuto, privato, di tutti, ma non c'e' stato niente da fare. Lui sperava sempre di uscire.Fuori, aveva soltanto noi: padre e madre li aveva perduti nel primo anno di affidamento. Era tutto grigio, Luciano, la malattia lo aveva ridotto a pochi chili: sembra incredibile, eppure, non abbiamo ricevuto alcun sostegno
pubblico".

Grandi dolori e grandi soddisfazioni. Andrea, l'ultimo figlio, un bellissimo bambino, "era nato idrocefalo al sesto mese di gravidanza. Suo padre e sua madre l'hanno abbandonato alla nascita, in ospedale. I medici ce l'hanno affidato, per valutare il danno cerebrale e decidere. Che paura, ce lo mollarono come un pacco. Del suo primo anno di vita ricordo soltanto i
ricoveri: entrava e usciva dal coma, non ha mai dormito, mai mangiato.

Per fortuna, avevamo la nostra associazione (Famiglia sociale, tel.0734/229234), non ci siamo mai sentiti soli. Adesso ha quattro anni, ha ritmi quasi normali. Cammina, va all'asilo nido, l'abbiamo riportato all'ospedale dove era nato: sono usciti a vederlo tutti i medici e si sono commossi. Andrea sara' una persona autonoma, e questo sembrava impossibile".

Ma non tornera' dai suoi genitori biologici, che non lo hanno voluto, ora e' un Luciani, e' stato adottato per sempre da Clara, Marco, Simone, Stefano e Serena.

Rendere liberi i prigionieri dell'handicap. Costruire famiglie aperte, comunita' veramente cristiane, convivere con le diverse abilita' e con la malattia mentale. "Immergere il proprio matrimonio dentro una tempesta di passioni esaltanti e sentimenti fortissimi, ma, aggiunge Clara ridendo, anche dentro tanta cacca, tanti pannolini, tante lavatrici, tante tonsille,tante corse all'ospedale".

Una scommessa vinta? "Non lasceremo terre o case
ai nostri figli, io non sono mai riuscito a fare il mio viaggio in India -risponde Marco - ma speriamo di trasmettere loro una ricchezza molto piu' grande".

Simone, il primogenito, due orecchini regolamentari e l'aria di chi conosce bene il valore delle parole, studia (ma potrebbe insegnarla) Scienza dell'educazione a Bologna, lavora a Sant'Elpidio in una comunità per tossici. Dice, con nobile fierezza: "Siamo persone normali, non facciamo
niente di speciale. E io spero che papa', prima o poi, porti la mamma in India. Ai fratelli e a chi arrivera', ci possiamo pensare noi".

Dal casale in collina alla casa-famiglia dei loro amici Cinzia e Stefano Ricci, un'altra coppia speciale. Abitano in una palazzina di Fermo di proprieta' della comunità di Capodarco. Sul citofono, oltre ai nomi dei padroni di casa, e' scritto: casa di pronta accoglienza per minori da 0 a 6 anni. Un appartamento grande, vissuto, pieno di giochi, fotografie.

Chiedo lumi sulla pronta accoglienza. Risponde Cinzia: "Un giovane marocchino tenta il suicidio con il gas? Suo
figlio di tre anni e mezzo viene prelevato dai servizi sociali e arriva qui.
Genitori tossici in crisi di astinenza vengono ricoverati in ospedale? Se c'e' un bambino di mezzo qui c'e' una famiglia che lo può ospitare, c'e' chi partorisce e non riconosce il neonato o la neonata. Vuoi due conti? In 16 anni di matrimonio, io e Stefano abbiamo avuto in affidamento 25 fra ragazze e ragazzi, più i 23 piccolissimi in pronta accoglienza, che tornano con la famiglia dopo poco tempo. C'e' chi sta con noi tanto, anche 8 anni, c'e' chi va via presto, ma sono tutti nel nostro cuore. Quando non resisto, prendo il pulmino e andiamo a fare un giro a trovarli, sono tutti vicini, per fortuna, sparsi per queste colline".

Stefano racconta gli inizi, gli anni Ottanta, la comunita' di Capodarco, il matrimonio in campagna "con un altare in legno costruito da me, per pranzo panini con la porchetta, sotto un tendone imprestato. Il padre di Cinzia, docente di diritto, le grido' contro: mettiti un cartello, senno' come si
capisce che sei tu la sposa? Poi mando', a nostra insaputa, le borghesissime bomboniere a tutti i suoi amici".

Il professore non perdona la figlia: "Diceva che ero matta, non voleva che portassi in casa sua i ragazzi che avevo in affido - e io non ci andavo, da sola. O con loro, o niente. Eravamo
rigidi, idealisti e forse ideologici. Ci siamo sposati e siamo andati a vivere in campagna. Dopo pochi giorni, avevamo 27 e 22 anni io, eravamo gia' genitori affidatari di due fratelli di 10 e 11 anni. Siamo cresciuti insieme a loro, eravamo anche incoscienti. Ci scappavano da tutte le parti: dalla
favola alla realta', il salto e' stato immediato. Ci dicevano: tu chi sei, tu non mi comandi! Abbiamo imparato molto. Noi crediamo che i figli non siano di proprieta' di nessuno, neppure i nostri, quelli, come si dice, biologici.

Non ci devono appartenere, sono persone con la loro identita'. Rispettare la storia degli altri e' il nostro principio fondamentale. Tutti quelli che sono passati da qui hanno portato qualcosa e hanno cambiato qualcosa della nostra vita. I nostri tre figli, Francesco, Chiara ed Elisa hanno ricevuto e ricevono moltissimo da questa scelta di vita".

Difficolta', tante. "C'e' chi entra ed esce dall'ospedale psichiatrico, e magari ti chiama in piena notte per insultarti, c'e' chi non e' riuscito a inserirsi, ci sono genitori che non accettano una seconda famiglia per i loro figli, entrano da quella porta e urlano, strepitano, minacciano".

Ma e' la battaglia della vita. Cinzia e Stefano la combattono anche fuori di casa lavorando nei servizi sociali. Lei logopedista, lui sociologo. Amici e parenti li hanno messi da parte, li accusano di togliere affetto ai loro figli "veri", "non capiscono che l'affetto si moltiplica, che la vita va
condivisa con gli altri. Quando tutto questo ci pesera', molleremo tutto. Per ora, vedo fallire i loro matrimoni e le loro famiglie chiuse, aride, tradizionali". Cinzia sorride. Dal corridoio spunta Luca, tredicenne Down,quarto figlio, adottato dai Ricci dopo un affidamento.Porta un lavoro fatto al computer, la preghiera dei lupetti, scherziamo sulla sua squadra, il Milan, poi gioca con Michele, il fotografo, vuole dimostrargli di saper usare la camera digitale perfettamente.

Scappa di nuovo al pc con la sorella Elisa. Stefano racconta che Luca "era stato rifiutato e abbandonato dalla madre psicotica, arrivò che aveva cinque anni, si dondolava, era praticamente autistico. Nessuno l'ha voluto piu'. Ora legge, scrive, va a scuola, agli scout". E Cinzia aggiunge: "Quando lo
prendemmo, i nostri genitori ci chiesero se eravamo impazziti. Adesso, dopo tanti anni, lo sai? Fra tutti i nipoti, è quello che vuole piu bene al nonno, a mio padre".

Luca ha anche il diabete. Ma ha imparato - l'estate scorsa, durante un campeggio organizzato - a farsi da solo le quattro iniezioni quotidiane di insulina. Il suo sorriso ci accompagna fino alla porta, ci resta nel cuore.

Se pensate di avere letto delle favole e non delle storie vere, potete controllare. Una gita alle comunita' di Capodarco, in Italia o nel mondo, vale più di mille viaggi!!

Don Vinicio Albanesi vi aspetta: tel. 0734/683927,
e-mail:
comunita.capodarco@tin.it

Due storie interessanti, che ci sembrava giusto pubblicare.

















Antonella Prigioni - antonella@disabiliforum.com

Tieniti aggiornato. Iscriviti alla Newsletter!

Autorizzo al trattamento dei dati come da Privacy Policy