Menu

Tipografia

Il contributo di Giulio Iraci, Segretario del Comitato Siblings che ci fa riflettere sulle figure familiari che, nella vita, supportano le persone con disabilità, senza sostituirvisi nella direzione della propria vita

È curioso quello che si può scoprire approfondendo i significati delle parole. Prendiamo la parola regia. Il vocabolario Treccani la fa risalire al francese régie, derivazione di régir, «reggere», «amministrare», dal latino regĕre, «dirigere». Nel primo significato, più prossimo all’etimologia, è sinonimo di monopolio statale, amministrazione esclusiva di una merce; nel secondo, certamente più diffuso, è la direzione di un evento del mondo dello spettacolo o, più in generale, di una qualunque manifestazione, tanto da assumere, nell’estensione più ampia, il significato di ideazione, organizzazione ed esecuzione di un’operazione complessa.
Azzardando un collegamento con le nostre vite, si potrebbe associare la parola regia alla gestione delle attività che svolgiamo ogni giorno: dall’igiene personale al lavoro, dallo svago alle relazioni affettive. Ognuna di esse, in effetti, necessita di una supervisione attenta, cui ciascuno provvede per proprio conto, come può. Si potrebbe dire, in tal senso, che siamo tutti registi e registe delle nostre vite: siamo noi stessi a ideare, organizzare ed eseguire ciò che occorre per realizzarle.

Ma è sempre e per tutti così? Sì e no.
Nell’infanzia, nella pubertà e in misura minore nell’adolescenza non si ha ancora, o la si ha solo in parte, la capacità di dirigere appieno le attività quotidiane. È una limitazione temporanea, che riduce la regia personale ma, in assenza di altri impedimenti, non ne pregiudica il completamento e l’esercizio per il resto della vita.
Diverso è il caso di chi, anche da adulto, non raggiunge mai o perde anzitempo la piena capacità di auto-dirigersi. Queste persone, che potremmo definire a regia ridotta, hanno delle caratteristiche congenite o sopravvenute dopo la nascita che limitano permanentemente la loro autonomia gestionale e rendono necessarie forme di integrazione ben oltre l’adolescenza.

Ciò che riduce la loro regia, si badi, non è la disabilità tout court. Chi ha un handicap motorio infatti, se ad esso non si somma un deficit cognitivo, è perfettamente in grado di programmare le attività quotidiane e si sente a tutti gli effetti (e ci mancherebbe altro) la o il regista della propria vita. Lo stesso si può dire, con le medesime precisazioni, per le persone con disabilità sensoriali.
Chi ha una disabilità cognitiva, socio-relazionale o psichica, invece, non è in grado di dirigere pienamente la propria vita. Le persone con sindrome di Down, ad esempio, pur potendo programmare e svolgere autonomamente molte attività, ignorano o sanno solo in parte cosa c’è dietro l’abbonamento del bus che li porta al lavoro o la musica che ascoltano, per non dire delle questioni sanitarie, previdenziali, assicurative o patrimoniali. Lo stesso, grossomodo, vale per le persone con autismo o con psicosi.

È evidente, a questo punto, che dei tre elementi utili a definire la regia esistenziale, quelli determinanti sono l’ideazione e l’organizzazione: solo chi sa ideare e organizzare tutte le attività quotidiane infatti, pur eseguendone solo alcune, può dirsi pienamente la regista o il regista della propria vita.
Con ciò, sia chiaro, non si intende sottostimare il disagio, anche psicologico, di chi non può svolgere tutte le operazioni che pure è in grado di programmare, né disconoscere le capacità gestionali di chi sa programmarle solo in parte. Si vuole semplicemente precisare che alcune persone necessitano di un’assistenza, oltre che pratica, anche e soprattutto direttiva. Lo vogliano o no, lo sappiano o no, le persone a regia ridotta hanno sempre bisogno di un’aiuto regia, di una supervisione attenta e costante nell’ideazione, nell’organizzazione e nell’esecuzione delle attività quotidiane: per tutta la vita.
Quest’assistenza a volte è così pervasiva che la si potrebbe scambiare per una sorta di co-regìa. Il solo pensarlo, tuttavia, sarebbe un errore e paleserebbe il limite maggiore dell’analogia proposta all’inizio. Un film, infatti, può certamente essere diretto a quattro e persino sei mani, risultando alla fine l’opera di due, tre registi diversi; la vita umana invece no, appartiene solo a chi la possiede, né potrebbe essere altrimenti. Anche quando le persone a regia ridotta sono assistite in tutto e per tutto – e vi sono situazioni particolarmente gravi che lo impongono –, esse mantengono sempre e comunque l’esclusiva titolarità della loro esistenza, se è vero (com’è vero) che neppure l’interdizione può limitare l’esercizio di alcuni diritti [F. Girelli, Interdizione giudiziale e diritto di voto, 2006, in www.eius.it]. La vita umana, in altre parole, è uno spettacolo che può avere una e una sola regia, anche se ridotta, e chi è chiamato ad integrarla deve favorirne, il più possibile, il naturale sviluppo.

Ma chi sono le aiuto registe e gli aiuto registi?
Quando la regia ridotta è congenita o sopraggiunge nella giovinezza, l’aiuto regia spetta ovviamente ai genitori. Sono loro a prendere, fin dai primissimi anni, decisioni cruciali per il benessere dei loro figli e, via via che crescono, a condurli verso un futuro dignitoso. Un ruolo non facile, né facile da accettare, che cambia radicalmente la vita di questi genitori e richiede, da un giorno all’altro, dosi incalcolabili di rinunce e di amore.
A quella genitoriale, quando ci sono, si aggiunge l’aiuto regia dei fratelli e delle sorelle, i quali, prima attraverso il gioco poi in forme più articolate, crescono accanto alle sorelle e ai fratelli a regia ridotta affiancandoli, fin da piccolissimi, in ogni fase della loro esistenza. Immersi nella disabilità come normale contingenza della vita, i siblings (dall’inglese, «fratelli e sorelle») sono degli aiuto registi nati, ed è a loro che spetta il compito di proseguire nel «dopo di noi», declinato nel con o durante noi, il percorso tracciato dai genitori.
Se poi la regia ridotta non ha impedito la formazione di una famiglia o sopraggiunge in età avanzata, l’aiuto regia spetta ai compagni di vita e, se ci sono, ai figli. Questi ultimi in particolare, si pensi ad alcune patologie senili, sono i più numerosi tra gli aiuto registi e rappresentano, per i loro genitori e per l’intera società, la principale alternativa alle aiuto regie istituzionali.
Ci sono, in verità, molti altri collaboratori, la cui assistenza – sempre utilissima, spesso indispensabile – non è quasi mai meramente esecutiva. Ma la supervisione delle persone a regia ridotta, l’integrazione all’ideazione, all’organizzazione e all’esecuzione delle loro attività quotidiane spetta agli aiuto registi. Loro il pensiero costante, loro la responsabilità: vita natural durante.

Non sono previsti premi per l’aiuto regia. Nessuna nomination, nessuna statuetta. Solo per un breve periodo, dal 1933 al 1937, a Hollywood furono assegnati gli Academy Award per il “Best Assistant Director”. Poi non più, chissà perché.
Ci sono però i registi e le registe, che ogni tanto, quando meno te l’aspetti, ti fanno un sorriso e ti danno una pacca sulla spalla. Non è tutto ma, come sa ogni aiuto regista, può valere come un Oscar alla carriera.

Giulio Iraci,
Segretario del Comitato Siblings Onlus (www.siblings.it)

In disabili.com:
Cosa significa essere fratelli e sorelle di persone con disabilità
Siblings e non solo: il piccolo esercito dei caregiver giovani


Tieniti aggiornato. Iscriviti alla Newsletter!

Autorizzo al trattamento dei dati come da Privacy Policy