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Per alcuni malati, come i bambini colpiti da malattia di Pompe, nei casi più gravi recarsi in ospedale per la terapia è un rischio, un costo e uno stress evitabile. Le famiglie, già provate da una assistenza impegnativa, chiedono di poter avere la terapia domiciliare

Quando parliamo di caregiver familiari parliamo di persone che, dedicando la vita ad assistere un familiare non autosufficiente, col passare del tempo finiscono per diventare altamente esperte di quella malattia, al punto da imparare a gestire da soli crisi, a fare iniezioni, effettuare cambi di strumentazioni, addirittura portare a termine altre procedure anche complesse, indispensabili per l’assistenza al proprio caro. Ma, al di là che non i familiari dovrebbero essere gravati di compiti sanitari talvolta anche pericolosi, non sempre è possibile fare da soli: la terapia alla persona non autosufficiente può richiedere interventi specialistici con strumentazioni, manovre o azioni che solo personale specializzato è autorizzato a fare, e soprattutto in grado di effettuare.  In questi casi è da favorire in ogni modo e con qualsiasi strumento la possibilità garantire interventi a domicilio: cosa invece non sempre attuabile.

Per capire come può fare la differenza, per una famiglia già provata dall’assistenza h24 di una persona non autosufficiente, la possibilità di cure a domicilio, raccontiamo in questo pezzo le esperienze, raccolte da O.Ma.R.  di due famiglie con bambini colpiti da malattia di Pompe, una patologia estremamente disabilitante, spesso mortale, che  in Italia interessa circa 400 pazienti, comprese tutte le varianti. Quando colpisce nella forma infantile provoca grave ipotonia, insufficienza cardiaca, necessità di un respiratore meccanico e assistenza 24ore su 24 in molti casi.

VIAGGI PER TERAPIE - È il caso di Nicola, 10 anni, di Accettura (Matera). “Viviamo in un paesino di montagna- spiega la mamma Antonietta Mariano - Fino ai 9 mesi mio figlio è stato bene, ma da molti anni ormai non può muovere nemmeno le mani, anche se è in grado di comunicare e di apprendere e segue un percorso di istruzione domiciliare. Vive però allettato, attaccato a un respiratore 24 ore su 24, si nutre con la peg, devo assisterlo giorno e notte e, una volta a settimana, portarlo in ospedale (al San Carlo di Potenza), percorrendo circa 50 km di strada tutta curve, trasportando in auto tutta l’attrezzatura che permette a Nicola di vivere. Ci vuole un’ora per andare e un’ora per tornare e dobbiamo restare in ospedale tutto il giorno, rischiando anche di contrarre qualche virus, che per lui potrebbe essere addirittura fatale.”
Una situazione di estrema fragilità, aggravata dalla necessità di recarsi in ospedale per la terapia di sostituzione enzimatica, per Nicola salvavita, che però potrebbe essere effettuata a domicilio.

UN “TRASLOCO” OGNI VOLTA - “Portare in ospedale mio figlio – spiega il papà di un bimbo bresciano con la stessa malattia, che preferisce restare anonimo - voleva dire traslocare ogni volta: respiratore, aspiratore, umidificatore e saturimetro. Fare il viaggio in auto era impensabile, per anni i volontari della Croce Bianca ci hanno aiutati con le loro ambulanze. L’ascensore di casa nostra è stretto, dovevano caricarlo in ambulanza trasportandolo su un telo per 3 piani di scale. Senza contare il rischio infettivo al quale mio figlio, che è anche immunodepresso, era sottoposto ogni volta che entrava in ospedale. In ospedale dovevamo restare tutta la giornata, almeno dalle 8 alle 18. Per tutti noi era fonte di grande fatica e stress.”
Da circa un anno questa famiglia ha ottenuto la possibilità della terapia domiciliare. “Dopo una battaglia legale e burocratica, grazie all’aiuto dell’associazione AIG, e alla Regione Lombardia e alle strutture ospedaliere coinvolte, siamo riusciti ad ottenere per nostro figlio la possibilità delle infusioni a domicilio e la nostra vita è decisamente migliorata. Nostro figlio si ammala di meno, è meno stressato, le sue condizioni generali sono migliorate. Può dedicarsi meglio al suo percorso di educazione domiciliare. Ora sta imparando anche a comunicare con il puntatore oculare, per un bambino che non può comunicare verbalmente è davvero una grande possibilità.”

HOME THERAPY E MALATTIA DI POMPE -  Nel caso di Malattia di Pompe, l’home therapy può rappresentare un grande aiuto per queste famiglie, e di fatto non ci sono controindicazioni mediche ad effettuarla: “Per i piccoli pazienti, specialmente quelli in ventilazione assistita come Nicola, dover affrontare questi spostamenti, oltre che una sofferenza è anche un rischio, perché per loro una malattia virale può essere fatale” spiega il professor Antonio Toscano,  responsabile del Centro Regionale di Riferimento per le Malattie Neuromuscolari Rare presso l'A.O.U. Policlinico “G. Martino” di Messina e già presidente dell'Associazione Italiana Miologia  (AIM).  “E poi, ci sono i gravissimi disagi subiti dai genitori, costretti a lunghe trasferte con relative giornate lavorative perse: per questo, noi medici (e questa è anche la posizione dell'Associazione Italiana Miologia) siamo favorevoli all'opzione della terapia domiciliare, almeno per i casi più gravi e per le famiglie che abitano a grande distanza dal centro specialistico”.

IL LUNGO ITER PER LE FAMIGLIE - L’iter per ottenere la terapia domiciliare a Brescia non è stato semplice. Nel febbraio dell’anno scorso i genitori, col supporto dell’Associazione Italiana Glicogenosi, hanno chiesto all’Azienda Ospedaliera Spedali Civili di Brescia di trasferire a domicilio il trattamento settimanale che Jacopo fino a quel momento aveva sempre effettuato nel reparto pediatrico, recandosi in ospedale una volta alla settimana.
Pur avendo l’ospedale riconosciuto la ragionevolezza della richiesta, dato anche il parere positivo del centro di riferimento regionale del piccolo, e potendo contare sul sostegno dell’azienda produttrice del farmaco (Sanofi Genzyme) che si è impegnata a supportare economicamente l’organizzazione del farmaco, la prima risposta fu negativa. In Italia il farmaco myozime è approvato solo per l’uso ospedaliero, quindi si rendevano necessarie una lunga serie di autorizzazioni ufficiali, comprese quelle di Aifa e Regione Lombardia.
“Nessuno si oppose, erano tutti favorevoli a farci fare la terapia a casa, ma i tempi stavano diventando lunghi, per questo ci rivolgemmo al tribunale di Brescia. Il giudice però risposte che era necessario attendere. Dopo un anno di attesa facemmo ricorso, fortunatamente però l’ok ufficiale arrivò prima. Regione, Ospedale e comitato etico provinciale erano tutti d’accordo: finalmente abbiamo ottenuto la terapia domiciliare. È stata una lunga battaglia, che speriamo davvero possa utile anche ad altre famiglie.”

ALL’ESTERO LA TERAPIA DOMICILIARE E’ PRASSI - “Siamo riusciti a ottenere la terapia domiciliare per questo bambino, che ne ha beneficiato in termini di qualità della vita. Un minore stress, meno rischio di infezioni e più tempo a disposizione gli hanno permesso di dedicarsi proficuamente al percorso di educazione domiciliare e all’apprendimento della tecnica di comunicazione con puntatore oculare. – spiega Gianfranco Stefanelli, presidente dell’Associazione Italiana Glicogenosi AIG – Ora però vogliamo che altri bambini, a partire da quelli in condizioni più gravi, possano avere diritto alla stessa opzione terapeutici. Per i pazienti più gravi recarsi in ospedale per la terapia è un rischio, un costo e uno stress evitabile. Per queste famiglie la gestione quotidiana è già sufficientemente complessa. Ci sono famiglie che devono percorrere 200km a settimana solo per raggiungere il proprio centro ospedaliero di riferimento. Chiediamo questo diritto perché sappiamo che all’estero la terapia domiciliare per la malattia di Pompe è una prassi e i clinici sono concordi. I pazienti iscritti alla nostra associazione sono 120, ma secondo le nostre stime i pazienti italiani sarebbero almeno il doppio, di cui circa un 20% in condizioni gravi. Chiediamo che per tutti loro sia possibile la terapia a domicilio. Per questo ci stiamo battendo, insieme ad altre tre associazioni (AIAF – Associazione Italiana Anderson – Fabry Onlus, AIG – Associazione Italiana Gaucher Onlus e AIMPS – Associazione Italiana Mucopolisaccaridosi Onlus). Abbiamo recentemente siglato con l’Intergruppo parlamentare per le malattie rare, presieduto dalla Senatrice Paola Binetti, un patto d’intesa con le istituzioni italiane, un impegno concreto perché questa possibilità diventi realtà il più presto possibile.”


Redazione


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