Menu

Tipografia

bambino che abbraccia la mammaI genitori di bambini con disabilità conoscono fin troppo bene gli sguardi di pietà, di fastidio, interrogativi, di scherno che a volte le persone rivolgono ai loro figli

Non inizierò questo articolo ricordando la differenza tra i termini “disabilità” e “handicap”, e il valore di gap sociale che la seconda porta con sé perché, anche se le parole sono importanti (e molto), gli esempi spesso aiutano a capire meglio.

Pensavo ad esempio a una delle moltissime sfide che i genitori di bambini disabili spesso devono affrontare. Essere genitori di un bambino con disabilità significa, talvolta, essere bersaglio di sguardi di pietà, di fastidio, interrogativi, di scherno. Sguardi dei quali il genitore, potendolo fare, si pone a scudo, nel tentativo di preservare il piccolo da queste sferzate che non lasciano indenni neanche quelle rocce magnifiche di mamme e papà.
Il genitore di un bambino con disabilità, magari intellettiva, sa che insieme a questi sguardi potrà  arrivare da un momento all’altro una frase tipo “Oh, come mi dispiace”, “Che problemi ha suo figlio?”,  quando non addirittura “Potrebbe dire a suo figlio di smetterla?”. Anche questo significa essere genitori di un bambino disabile: dover spiegare e scusarsi del fatto che il proprio figlio fa baccano, tocca le persone, sposta le cose, non è educato.

Ora, è evidente che un comportamento che si discosta dalle norme sociali condivise possa provocare una qualsiasi reazione: non è questo che si discute.  Vorrei  fare invece un passo in più, e riflettere piuttosto sul quanto siamo abituati a questi contatti con un altro diverso, e magari perchè lo siamo così poco, ancora così poco. Quanto poco la non ordinarietà sia presente nelle nostre quotidiane faccende, nei nostri spazi sociali, nelle nostre attività di tutti i giorni.  Non ordinarietà che, quando incrociamo sul nostro cammino, sul sedile a fianco al nostro in autobus, al supermercato, in chiesa, al bar, ci mette in allerta, ci preoccupa, ci incuriosisce, magari ci spaventa. Il  motivo, di solito? Non la conosciamo e non sappiamo come maneggiarla. Pensando magari a chissà che parole usare, chissà che atteggiamenti avere, chissà come ci si comporta con queste persone. Chissà.

Ed arriviamo all’esempio, quello che meglio di tante parole fa capire. Pensavo a questo leggendo la lettera riportata ormai settimane fa da Huffington post che la mamma di una bambina autistica ha scritto all’uomo che per tutto il tempo di un viaggio in aereo, seduto vicino alla piccola Kate, ha giocato e parlato con lei. Senza chiedere, senza ritrarsi o infastidirsi, senza preferire di guardare altrove - magari trovando protezione tra i suoi documenti importanti - senza correggerla quando lei lo chiamava papà. Tra le altre cose, scrive questa mamma: “Siete andati avanti a lungo e mai mi sei sembrato infastidito. Kate ti ha concesso anche un momento di tregua e si è messa a giocare con Anna ed Elsa, le sue bambole. Gentile da parte sua salvarti dalle Barbie, ma sono convinta che non ti avrebbe dato fastidio nemmeno quello. Scommetto che hai anche tu delle figlie. Nel caso tu te lo sia chiesto, stava meglio quando siamo scese dall'aereo. Grazie per averci fatto passare avanti. Si sentiva schiacciata all'inizio e, uscendo, un grande e lungo abbraccio era proprio quello di cui aveva bisogno.

Un grande e lungo abbraccio, o anche solo un sorriso, o anche solo la cortesia di una persona di fronte a un’altra persona, è quello che può fare la differenza, molto più di quanto immaginiamo.

In disabili.com:

CRESCERE E’ ANCHE APRIRE LE PORTE ALLE DIVERSITA’

IL FALLIMENTO DI UNA SOCIETA’ CHE ESCLUDE IL DISABILE, E' UN FALLIMENTO DI TUTTI

COSA SIGNIFICA ESSERE FRATELLI E SORELLE DI PERSONE CON DISABILITA'


Francesca Martin


Tieniti aggiornato. Iscriviti alla Newsletter!

Autorizzo al trattamento dei dati come da Privacy Policy