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persona di spalle spinge una carrozzina Lunedì 24 febbraio si è svolta a Padova la presentazione della ricerca "Le gestioni della non autosufficienza in Veneto", dove si è fatto il punto della situazione, e tracciato un'analisi delle prospettive future

Lunedì 24 febbraio si è svolta a Padova la presentazione della ricerca a cura del Dott. Ludovico Ferro "Le gestioni della non autosufficienza in Veneto", promossa dalla FNP Regionale e realizzata dalla Fondazione Corazzin.

Il tema centrale riguarda la presa in carico delle persone non autosufficienti, in particolare delle persone anziane, partendo dal presupposto che sempre più, con l'andare del tempo, toccherà alle famiglie. Si è discusso quindi dei possibili sviluppi e delle migliori pratiche auspicabili da attuare a livello territoriale locale alla luce delle disposizioni del Piano Socio Sanitario Regionale 2012-2016.

UN PAESE CHE INVECCHIA - Il fatto che l'Italia sia un Paese che sta invecchiando - che è già invecchiato - non è un segreto. Le stime (da fonte Istat) indicano un innalzamento costante dell'indice di invecchiamento fino al 2015, poi un ulteriore innalzamento, ma più accentuato, dal 2020 al 2050. In altre parole, rispetto alla popolazione residente in Italia, che nel 2011 era di 60.626.442 persone, la popolazione di  over 65enni dovrebbe passare dal rappresentare un 20,3% del totale (12.301.537 anziani nel 2011) a un 22.5% nel 2020 e a un 26,1% nel 2030 (dati Istat, 2010, e Delai 2012).

INVECCHIAMENTO PARTECIPATIVO - Per molte persone, la vecchiaia comporta l'insorgenza di patologie mentali (Alzheimer, demenza…) che richiedono assistenza e sorveglianza costante, oppure fisiche legate a difficoltà di deambulazione, o anche entrambe. Il rischio di incorrere in queste condizioni di invalidità è più alto se non si persegue uno stile di vita pensato in termini di "invecchiamento attivo", che oltre alla salute in sé coinvolge gli anziani a partecipare alla vita sociale, politica ed economica, a mantenere i rapporti sociali, a manifestare le proprie esigenze. Un invecchiamento partecipativo, in sostanza.

LE FORME DI ASSISTENZA - Sono diversi i servizi disponibili oggi preposti all'assistenza necessaria per la sicurezza della persona anziana: ci sono i centri diurni, il fenomeno delle "badanti", o collaboratrici familiari, come nuova forma di lavoro e convivenza (ma che rende indispensabile il coordinamento e il controllo da parte dei familiari dell'assistito); le case di riposo (che oggi non si chiamano più così, bensì "Centri di Servizio"); i familiari… O meglio le figlie, che svolgono il cosiddetto "lavoro di cura". Donne che di solito si occupano allo stesso tempo anche dei bambini, e per loro il rischio di uscire definitivamente dal mondo del lavoro è molto alto. 

COSA VA CAMBIATO - Analizziamo queste opzioni: secondo la ricerca sono i centri diurni la risorsa su cui puntare maggiormente, i quali si renderanno via via sempre più indispensabili, in quanto permettono alla persona anziana di continuare a vivere in casa propria, e di stare "al sicuro" durante il giorno. Si tratta di una opzione non così scontata, se si considerano i costi  di iscrizione al centro, i quali non sono proibitivi, ma rappresentano pur sempre una voce di spesa in più, su cui si preferisce risparmiare se c'è qualcuno in casa che possa sopperire.
Per quanto riguarda le badanti molti sono gli aspetti da considerare: tra tanti, una riflessione ci sembra interessante, riguardo il futuro del fenomeno. Bisogna infatti tenere presente anche della cosiddetta "transizione demografica" dei cambiamenti sociali: prima delle care giver straniere c'erano le figlie a occuparsi degli anziani, le quali poi sono andate a lavorare fuori casa, ma il prossimo passo quale sarà? Ci saranno per sempre badanti straniere?

Analizzando i dati della ricerca, si può dire che l'offerta dei Centri di Servizio invece non è adeguata alle esigenze di oggi: ci vorrebbe uno stravolgimento importante per adeguare ad esempio il numero di posti letto e personale a un numero crescente di anziani.

INTEGRAZIONE DI SERVIZI COME SOLUZIONE - La situazione veneta in merito all'autosufficienza rispecchia la fase di cambiamento necessario a una presa in carico completa ed esaustiva delle persone fragili: la ricerca infatti si è focalizzata sugli effetti dell'integrazione socio-sanitaria, l'intervento delle unità socio sanitarie locali, e il rapporto tra comuni e unità socio sanitarie locali.
Altri elementi da sviluppare sono l'Assistenza Domiciliare Integrata (ADI), composta da figure professionali integrate che forniscono assistenza medica - è bene ricordare che si distingue dalla SAD, IL Servizio di Assistenza Domiciliare del Comune - ma che incontra problemi legati alla tempistica (vedremo gli esiti del recente intervento Regionale), di risorse e contributi. Ma non sono l'unica via.
Proposte e soluzioni interessanti che potrebbero essere estese a livello capillare in tutta Italia, che con ogni probabilità, vista l'ormai famosa inerzia italiana, assumeranno presto carattere d'urgenza, riguardano un'integrazione dei servizi socio sanitari. Si parla di "Medicina Integrata", che coinvolge, oltre al medico di famiglia, anche figure di specialisti, assistenti sociali, collaboratori di studio e infermieri, tutti nella stessa sede di riferimento per ogni territorio, che disponga di carattere di capillarità, e della sicurezza di un servizio 24h. Questo significa disporre di più medici che operano nella stesso ambiente.

L'inarrestabile aumento della mole di lavoro di cura a carico della famiglia è ben chiara alle istituzioni regionali, ma prima di tutto, prima ancora della medicina integrata, ci vuole una legge quadro nazionale sulla non autosufficienza che stabilisca i Livelli Essenziali di Assistenza. Commenta infatti Adolfo Berti, segretario generale della Fnp Cisl Veneto: "La sanità e il sociale sono da sempre argomenti elettorali sensibili, ma questa ricerca dimostra che è arrivato il momento che Comuni, attraverso le conferenze dei sindaci, e Ulss si coordino sistematicamente a favore dell'ottimizzazione delle risorse e di un servizio migliore". - Conclude - "I loro buchi di comunicazione vengono ora sopperiti dalle famiglie e dal volontariato."

Riassumendo,  la strada da percorrere per un invecchiamento più sano prevede l'importanza di coltivare rapporti sociali, della cura di sé, di ridere, di avere un'alimentazione completa, fare movimento... e i centri diurni si prospettano come gli spazi più adeguati per riuscirci. Inoltre la ricetta a livello organizzativo deve mirare a favorire la de-ospedalizzazione e la domiciliarità, porre attenzione sulle "dimissioni protette", il tutto per venire incontro alle famiglie e fornire servizi completi e collegati reciprocamente tra supporto medico, sociale, psicologico e relazionale per chi non è autosufficiente.

Ora quindi tocca alla Regione realizzare questi obiettivi tanto ambiziosi quanto utili, ma siamo sicuri che siano i tagli la via giusta?



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Elisabetta Pometto


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