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Ecco il testo - della presidente AID - dell'ultimo congresso

Tra i tanti disturbi psichici che possono presentarsi nel corso dello sviluppo di un bambino i Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) hanno un destino molto particolare: sono oggetto di moltissime ricerche in ambito nazionale e internazionale, costituiscono un modello per lo studio degli altri disturbi e per la comprensione dell'apprendimento normale, eppure chi dovrebbe occuparsene quotidianamente (gli insegnanti e a volte anche gli operatori sanitari) spesso non ne conosce o ne nega l'esistenza.

Questa scarsa conoscenza, questa disinformazione, lasciano soli i molti genitori che si trovano ad affrontare insieme ai loro figli tredici (almeno) lunghissimi anni di sofferenza a scuola.

Per contrastare questa situazione l'XI Congresso dell'Associazione Italiana Dislessia, che si è tenuto a Roma a fine 2008, si è rivolto contemporaneamente al mondo della sanità , della scuola ed a quello delle famiglie. Il titolo del Congresso "Essere DYS: dislessia e dintorni" ha voluto sottolineare in modo particolare l'impatto che i DSA possono avere sulla vita quotidiana e sul futuro dei soggetti che li presentano.

Il suffisso dys (utilizzato anche in una interrogazione presentata al Parlamento Europeo) indica che si tratta di una disabilità , una limitazione delle attività e della partecipazione dell'individuo alla vita della collettività . Vuol dire che bambini e ragazzi normalmente intelligenti e capaci di apprendere, giovani ed adulti capaci di inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro in base alle proprie attitudini sono invece costretti ad un percorso scolastico zoppicante e faticoso, che spesso non viene portato a termine o che viene indirizzato verso studi "di minore impegno" e che quindi può condizionare pesantemente la scelta lavorativa.
Come per tutte le disabilità una modifica, anche parziale, dell'ambiente circostante (in questo caso dei sistemi didattici) può ridurre significativamente l'impatto negativo del disturbo sul funzionamento dell'individuo.

I DSA, pur essendo disturbi settoriali (cioè che per definizione interessano un solo ambito delle competenze cognitive) finiscono con l'improntare tutta la vita di chi ne è portatore. Parlare di dislessia, disotrografia e discalculia non vuol dire quindi affrontare solo le difficoltà di lettura, scrittura e calcolo, ma anche tutte le manifestazioni, associate o secondarie, che assieme ad esse si presentano.
Per questo motivo la relazione di apertura (tenuta da Frank Ramus) ha affrontato il tema della complessa relazione esistente tra i comportamenti osservati (le difficoltà di lettura), il funzionamento cognitivo (i meccanismi mentali che sono alla base dei processi di lettura), il funzionamento del nostro cervello e le componenti genetiche.
La più moderna ricerca in neurobiologia e genetica ha infatti ormai superato la separazione tra innato ed appreso, dimostrando che componenti genetiche e fattori ambientali interagiscono fra di loro in modo dinamico nel determinare il funzionamento dell'individuo e che tale interazione dura ben oltre la prima infanzia.

E' questa stessa interazione tra caratteristiche personali innate ed esperienze a determinare il frequente fenomeno della comorbidità (tema affrontato dalle tre relazioni successive): oltre la metà dei soggetti con DSA, infatti, mostra nel tempo almeno un altro disturbo. Può trattarsi di un altro disturbo di apprendimento, di un disturbo dell'attenzione, di un disturbo ansioso o depressivo, di un disturbo del comportamento. Una parte di questi problemi sono legati ad una vulnerabilità dell'individuo, ma certamente un riconoscimento tardivo del disturbo o la messa in atto di interventi terapeutici, pedagogici o educativi errati incide significativamente sulla comparsa di almeno una parte dei disturbi emotivi associati.

Il cronico sottodimensionamento dei servizi per l'età evolutiva nel Sistema Sanitario Nazionale rende questi problemi ancora maggiori: i tempi di attesa per una diagnosi sono di circa una anno, e ce ne vogliono altri due per avviare un intervento riabilitativo. Nel frattempo bambini, genitori e scuola affrontano come possono e come sanno un problema che non capiscono, accumulando sofferenza ed accuse reciproche e rendendo la Scuola un luogo di tortura.
L'ambito didattico e pedagogico costituisce infatti la nota dolente per i soggetti con DSA: per questo l'AID ha realizzato un Libro Bianco che racconti le storie (spesso dolorose) di chi con il DSA si trova a convivere per molti anni: ancora una volta un disturbo apparentemente lieve, ma che se non riceve la giusta attenzione può generare fallimenti e molta sofferenza. La Scuola italiana ha già al suo interno normative che, se applicate, garantirebbero almeno alcuni dei diritti dei DSA; è però necessario ribadire questi diritti in una legge ad hoc che spazzi il campo ad ogni tentativo di ridurre il disturbo ad un problema educativo, pedagogico o sociale. Questi i temi affrontati nella seduta plenaria pomeridiana, che ha visto anche la partecipazione di politici interessati alla progettazione di interventi si supporto e legislativi rivolti ai DSA.
Il sabato mattina è stato dedicato al confronto tra le realtà regionali su altri "dintorni dei DSA": le normative regionali varate o in corso di approvazione in favore dei DSA, l'uso dell'informatica per favorire l'apprendimento dei soggetti con DSA, i compiti a casa ed i progetti di sostegno allo studio, i percorsi formativi all'università , e ancora ricerca clinica e spunti per una didattica inclusiva.
Al Congresso hanno partecipato oltre 800 persone, genitori, operatori sanitari e della Scuola.

Roberta Penge
Presidente AID
Neuropsichiatra Infantile


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