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Una lettrice racconta il percorso di uscita dalla famiglia di sua sorella con Sindrome di Down attraverso un progetto di Durante e Dopo di Noi, tra luci e ombre 


I progetti che entrano sotto il cappello del “Durante e Dopo di Noi sono percorsi che si pongono come obiettivo quello di facilitare l’uscita delle persona con disabilità dal nucleo familiare, a favore di una autonomia che possa riprodurre una condizione “domestica” fuori di casa, e soprattutto evitando l’istituzionalizzazione. Come funzionano questi percorsi? Rappresentano, per le famiglie, delle soluzioni su cui contare in modo sereno e definitivo per il proprio caro, o ci sono dei punti deboli, dei collegamenti che vengono a mancare, costituendo delle soluzioni intermedie che prevederanno comunque, prima o poi, ulteriori passaggi, magari non indolore per gli interessati? Cosa, eventualmente, è migliorabile in questi progetti?

Pubblichiamo, in merito, le riflessioni di una donna che racconta l’esperienza sua e della sua famiglia, rispetto al percorso intrapreso dalla sorella con Sindorme di Down.

Avevo bisogno di tempo per scrivere senza rancore, l'esperienza fatta in una casa di semi-autonomia per persone disabili. Questa mail non vuole essere una critica fine a se stessa, ma vuole essere una lucida riflessione su come dovrebbero funzionare questi servizi, visti ovviamente dalla parte di chi ne usufruisce, tralasciando quindi le questioni tecniche che lascio agli addetti ai lavori.

L'esperienza è iniziata più di cinque anni fa con la magnifica proposta del Comune di Milano sul "Dopo di Noi" intitolata "ProgettaMi" alla quale ho aderito, facendo partecipare mia sorella, persona con sindrome di Down affetta da varie patologie e con scarsa autonomia, ma con tantissima voglia di vivere in una comunità con persone coetanee.

Roberta frequentava già un Centro Diurno Disabili, gestito casualmente dalla stessa cooperativa che ha poi aperto una serie di appartamenti dedicati, tra cui quello dove mia sorella è stata poi inserita.
A seguito di ProgettaMi sia i miei genitori che Roberta stessa, erano pronti per affrontare una nuova esperienza di vita; molto facilitati nel distacco, considerato che l'appartamento era ubicato vicino alla casa familiare.

L'inserimento è stato semplice, senza complicazioni annesse e il percorso direi che è andato bene, fino a quando le condizioni sanitarie di Roberta si sono aggravate.
Ben conscia che mia sorella non avrebbe più potuto proseguire la sua vita in tale contesto perché bisognosa di cure e attenzioni che nessuno di noi, familiari e operatori della "casa", avrebbero potuto più fornire.
Abbiamo così iniziato un nuovo percorso alla ricerca di una struttura più adeguata, con l'aiuto delle assistenti sociali del Comune di Milano (peraltro professionalmente validissime).
Cosa mi aspettavo di più? Mi aspettavo che quegli operatori che hanno accolto Roberta nel progetto ci accompagnassero fino alla fine del nuovo percorso, ma così non è stato, appena si sono conclusi i rapporti ....Puff, sono spariti! A differenza degli operatori del Centro Diurno da lei frequentato che ci hanno sostenuto e ancora ci sostengono (è proprio vero che i servizi li creano le persone!)

Solo questo, non mi sembra molto, ma quello che mi fa più pensare e che mi lascia perplessa, è che ancora oggi, con tutti gli sforzi e i buoni propositi, con le varie presentazioni che sembrano dipingere un quadro idilliaco su un futuro possibile per persone che sicuramente hanno poche chance di una vita quasi autonoma o comunque con la prospettiva illusoria di non dipendere più dal nucleo familiare d'origine, rimane sempre il problema che solo "ALCUNI FORTUNATI" riescono a perseguire questi obiettivi e quei "FORTUNATI" sono disabili che non hanno grossi problemi, per i più gravi rimane sempre la solita e unica alternativa, una struttura che li possa accogliere, una struttura che magari con molti sforzi cerca di assomigliare ad una Casa, ma che casa non è.

Ho dovuto quindi piegarmi alle vicissitudini e scegliere per Roberta una di queste strutture, da sola, con l'aiuto (per fortuna) degli operatori del Comune di cui non smetterò mai di tesserne le lodi e soprattutto senza l'aiuto di chi è stato parte della nostra famiglia per ben cinque anni.

Spero che questo "SFOGO" possa servire, a chi ne ha le competenze, per rivedere la progettazione di strutture dedicate che possano essere la vera alternativa per le persone più fragili.
Grazie per l'attenzione

Adalgisa Bianchi


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Redazione

 

 

 

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