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Questo importante articolo è stato pubblicato TOI - I tutori del Mielomeningocele
Periodico Trimestrale della Federazione Italiana Operatori della Tecnica
Ortopedica - F.I.O.T.O. N.° di Dicembre 2001. Segretaria di Redazione Daria Piazzi fioto@fioto.itcom


La disabilità motoria del bambino affetto da esiti di mielomeningocele è frutto di più fattori, primitivi o secondari, periferici o centrali, isolati o più spesso associati tra loro.

PARALISI PERIFERICA

La paralisi "periferica" costituisce la conseguenza più comune e conosciuta del mielomeningocele. Essa è localizzata negli arti inferiori ed il più delle volte rispetta le regole della distribuzione metamerica dell'innervazione dell'animale quadrupede, nel quale, come è noto, la porzione del corpo più distante dal naso è rappresentata dalla punta della coda. Qualche volta, la distribuzione della paralisi tradisce queste regole e si presenta "a sella", coerentemente con il fatto che nel mielomeningocele l’alterazione di quanto diverrà il futuro midollo spinale precede embriologicamente lo sviluppo dei quattro arti.

Per definire il livello della lesione, possono essere prese in considerazione le tracce più basse della contrazione muscolare (limite inferiore) o l'inizio dell’iposteniaG (limite superiore), o il punto dove il muscolo interessato perde la capacità di compiere la propria funzione, che per i muscoli antigravitari è rappresentata dal sostenere il peso del corpo contro l’azione della forza di gravità (livello funzionale). In letteratura, infatti, il livello lesionale funzionale viene definito come il più basso livello di innervazione muscolare nel quale il paziente risulta in grado di esercitare una forza muscolare di grado 3 secondo l’esame muscolare codificato dall’ International Medical Research Council.
Il problema della definizione del livello della lesione è complicato dal fatto che singoli muscoli possono ricevere innervazione da più metameri spinali e che un singolo metameroG spinale può innervare muscoli distribuiti in segmenti corporei anche distanti fra loro. A livello di ciascuna stazione di movimento va poi considerato che muscoli fra loro antagonisti corrispondono a livelli metamerici diversi, più alti per i muscoli anteriori o ventrali ed interni o mediali, più bassi per i muscoli posteriori o dorsali e per quelli esterni o laterali (sbilanciamento muscolare).
Rispetto alla natura della paralisi possono essere riconosciute due diverse forme cliniche:
a) la forma così detta flaccida (o di I tipo) caratterizzata da perdita della contrazione muscolare, abolizione del tono e dei riflessi e compromissione del trofismo al di sotto di un determinato livello spinale. La compromissione di queste attività, come quella della sensibilità, può essere parziale o completa (Stark 1972). Essa consegue alla distruzione del II neurone di moto, per cui viene meno il collegamento fra il muscolo, il midollo ed i centri nervosi superiori. Schematicamente nel midollo si possono distinguere due livelli: uno di attività normale (o conservata) ed uno di attività ridotta o assente, in corrispondenza della lesione spinale. Le forme di primo tipo prevalgono nelle lesioni lombari basse e nelle sacrali.
Quasi sempre nei primi mesi di vita si assiste ad un "abbassamento" del livello (cioè ad un processo di recupero spontaneo) giustificato dalla sovrapposizione di un danno secondario, conseguente alla riparazione chirurgica (parzialmente reversibile), al danno primitivo (irreversibile) del mielomeningocele. Questo processo restaurativo si completa in 18 - 36 mesi e non oltrepassa in genere due - tre metameriG spinali. Oltre questo periodo, il recupero procede in modo quantitativo e non più qualitativo, nel senso di un possibile aumento della forza muscolare nei distretti che hanno già recuperato, con un inevitabile aggravamento dello sbilanciamento muscolare fra i muscoli antagonisti che agiscono sulla stessa articolazione. In altre parole ciò che è già stato recuperato, potrà essere ulteriormente potenziato, mentre ciò che non è stato ancora recuperato non potrà più esserlo, almeno in maniera significativa.
Bisogna considerare subito tuttavia che, dal punto di vista riabilitativo, nel mielomeningocele, come in altre patologie neuromuscolari, non risulta tanto importante recuperare tutta la forza muscolare possibile, quanto recuperare la forza che può essere spesa utilmente dal sistema nervoso centrale (SNC), ad esempio in compiti antigravitari o in prestazioni locomotorie, e che non conduce a sbilanciamento muscolare. Attenzione al potenziamento muscolare indiscriminato: è, infatti, meglio essere deboli in modo equilibrato, come ci insegnano i miodistrofici, che essere forti in modo sbilanciato come può accadere appunto nella spina bifida. Il potenziamento muscolare finisce per premiare sempre i muscoli che sono già più forti e per condannare i muscoli più deboli, attraverso l'aumento del gradiente di sbilanciamento muscolare. Questa condizione conduce inevitabilmente alla retrazione muscolare ed alla comparsa di limitazioni e di deformità articolari, le quali possono costituire per il paziente un danno secondario di entità addirittura superiore rispetto a quello primario imposto dalla paralisi primitiva. Per quanto possa sembrare assurdo, ci sono pazienti che non riescono a stare in piedi ed a camminare perché possiedono "troppa" forza muscolare, distribuita però in modo non funzionale fra i vari distretti.
b) nella forma così detta spastica (o di II tipo) sono presenti attività contrattile, tono e trofismo e sono possibili alcuni riflessi segmentari, a volte esagerati, ma manca la capacità di evocare "volontariamente" la contrazione muscolare desiderata, isolandola, regolandola in intensità e durata, separandola e singolarizzandola dal contesto dell’attività dei muscoli sinergisti. Può essere presente un aumento distrettuale più o meno importante del tono muscolare. E’ ugualmente assente la reazione comportamentale (smorfie, pianto, startleG) alla stimolazione dolorosa delle aree sottolesionali. L’attivazione "spontanea" di movimenti di secondo tipo è in genere conseguente alla induzione "volontaria" di contrazioni muscolari intense nelle stazioni a monte della lesione. E’ evidentemente tanto più facile trovare una lesione di II tipo quanto più alto è il livello metamerico della lesione primitiva.
Il midollo spinale può essere idealmente scomposto in tre porzioni di cui la superiore rappresenta la parte conservata, la intermedia la porzione lesionata, con distruzione del II neurone di moto (paralisi di I tipo o flaccida), e l’inferiore la porzione responsabile dell’attività muscolare spastica involontaria o paralisi di II tipo. In alcuni bambini la lesione di I tipo interessa parecchi segmenti e l’attività sottolesionale di II tipo appare assai limitata; in altri la lesione si presenta come una sezione completa del midollo; in altri ancora la lesione è incompleta ed il bambino presenta una paraplegia spastica con conservazione di qualche movimento volontario (Stark 1972).
A livello del piede l'attività di II tipo conduce prevalentemente a deformità in eversione (flessione dorsale, abduzione, pronazione) mentre a livello di anche e ginocchia conduce a deformità in flesso-adduzione, sempre che non sia presente una distribuzione a sella della paralisi, caso in cui la deformità sarà in flessione, abduzione ed extrarotazione.
Dal punto di vista diagnostico (analisi del livello) e prognostico (possibilità di recupero) la paralisi di II tipo pone sempre problemi più complessi di quella di I tipo. L'errore più frequente è interpretare specie nel bambino piccolo i movimenti sottolesionali spontanei come movimenti volontari.
In molti soggetti, l’attività di II tipo tende ad accentuarsi durante la notte irrigidendo i segmenti interessati in posizioni obbligate, in genere di tipo fetale, con conseguente comparsa o aggravamento di limitazioni e deformità articolari secondarie.
Le componenti di II tipo possono essere già presenti alla nascita o comparire più tardi, anche diversi anni dopo, in ogni caso a valle di una componente flaccida. Esse rappresentano una specie di paralisi alla rovescia, dove il problema non è l'incapacità di far contrarre i muscoli, ma l'impossibilità di evitarne l’attività o di farli rilasciare al termine di una contrazione involontaria.

PARALISI PERIFERICA
SENSITIVA

Anche per la perdita della sensibilità sono possibili analisi quantitative (livello ed intensità) e qualitative (tipo di percezione: tattile, termica, dolorifica, cinestesica,G barestesica,G batiestesica,G pallestesica,G ecc.).
Come per l'attività muscolare è possibile tracciare una mappa metamerica della distribuzione delle aree sensitive in senso cranio - caudale, con l'ultima porzione del corpo rappresentata dall’area perianale. Nel mielomeningocele potranno essere distinte aree di totale perdita della sensibilità o anestesiaG da aree di ridotta sensibilità o ipoestesia.G
L’esame della sensibilità va eseguito a bambino quieto ma non addormentato profondamente, se possibile partendo dai dermatomeri sacrali per risalire verso quelli lombari e toracici. Durante l’esame la risposta alla stimolazione degli arti inferiori deve essere costantemente confrontata con quella degli arti superiori.
A differenza di quanto avviene per la paralisi motoria, sono possibili recuperi della sensibilità anche parecchi anni dopo la nascita, specie in relazione ad eventi straordinari come gli interventi di chirurgia ortopedica funzionale. Il perché non è ancora stato chiarito.
Va naturalmente considerata la difficoltà di effettuare un accurato esame della sensibilità nel bambino piccolo, per ovvi problemi di collaborazione, come pure la maggior ambiguità anatomica dei territori dell'innervazione sensitiva rispetto a quelli dell’innervazione motoria.
La paralisi sensitiva può aggravare la paralisi motoria attraverso più meccanismi:
a) sul piano della struttura perché espone al rischio di piaghe e decubiti;
b) sul piano del movimento perché impedisce al sistema nervoso centrale di utilizzare le unità motorie residue, ovunque esse siano, nel miglior modo possibile, controllando in continuità durante lo svolgersi dell'azione la natura, la misura e la distribuzione temporale della contrazione muscolare prodotta. In pratica, nel bambino con mielomeningocele anche se sono rimaste disponibili delle fibre muscolari utilizzabili per produrre un certo movimento, il cervello fatica a sfruttare questa risorsa perché non dispone delle informazioni necessarie per dirigere la loro attività;
c) sul piano dello schema e dell’immagine corporea, perché ostacola la costruzione di un’idonea rappresentazione mentale di sé;
d) sul piano dell'assistenza ortopedica perché impedisce il processo di interiorizzazione delle ortesi.
La somma della paralisi motoria e della paralisi sensitiva risulta così maggiore dei singoli addendi che la compongono e qualunque miglioramento della sensibilità si traduce in un significativo miglioramento dell’attività motoria complessiva, indipendentemente dalle variazioni della forza muscolare o dell’articolarità.
L’unico "vantaggio" della ipoestesia è rappresentato da una maggior tolleranza di affezioni dolorose come la lussazione dell’anca o di interventi di chirurgia ortopedica correttiva o funzionale, compreso l’impiego dei fissatori esterni. In condizioni di sensibilità assente è invece molto più facile assistere alla comparsa di turbe vasomotorie distali agli arti inferiori con edemi, cianosi, traspirazione abnorme e predisposizione ai geloni nella stagione invernale.

MALFORMAZIONI PRIMITIVE

Le malformazioni primitive sono in gran parte conseguenti alla perdita della motricità per la morfogenesi durante lo sviluppo fetale (III - V mese di gravidanza) ed alla abolizione degli impulsi tonigeni e trofici a partenza midollare. E' bene ricordare che nel mielomeningocele la paralisi precede la formazione degli arti. Per la mancanza di motilità, i segmenti (specie degli arti inferiori) crescono conservando sempre la stessa posizione nell'utero e finiscono per essere condizionati dall’ambiente che li circonda. Perché gli arti possano modellarsi nella forma dovuta è, infatti, necessario che essi possano cambiare frequentemente la loro posizione nell’utero ed a questo è deputata la motricità sin dal suo primo apparire (spasmi in flessione ed estensione, movimenti di avvitamento, ecc.).
Le malformazioni congenite possono, a volte, rappresentare un danno superiore alla stessa paralisi, relativamente alla possibilità di acquisire stazione eretta e cammino. Esiste in genere una corrispondenza fra livello della paralisi e tipo e gravità delle malformazioni congenite, ma sono possibili anche variazioni dovute al combinarsi di altri fattori:
a) alterazioni primitive dello sviluppo scheletrico (agenesie, malformazioni, ecc.);
b) metaplasia fibrosa (maggior consistenza) dei muscoli paralizzati, con loro prevalenza (accorciamento) sull'attività degli antagonisti conservati;
c) metaplasiaG plastica (maggior cedevolezza) dei muscoli paralizzati, con ridotta resistenza visco-plastica a fronte dell'attività degli antagonisti conservati e conseguente loro eccessivo allungamento.
d) presenza di paralisi motoria "periferica" di I e II tipo
e) presenza di paralisi motoria "centrale" dovuta alle malformazioni del SNC con liberazione di schemi motori patologici.
Come si vede il numero delle combinazioni possibili diviene perciò molto elevato.

DEFORMITA' SECONDARIE

Le deformità secondarie o acquisite sono quelle che si sviluppano durante la crescita e possono conseguire a più fattori:
a) innanzi tutto lo sbilanciamento muscolare, favorito dal progressivo potenziamento dei muscoli conservati, che tendono ad accorciarsi, o meglio a non crescere in lunghezza proporzionalmente alla crescita del segmento osseo su cui si inseriscono, ed a deformare l'articolazione verso il proprio campo di azione, mentre i muscoli paralizzati tendono a divenire troppo lunghi, perdendo ulteriormente la capacità di opporre un’idonea resistenza elastica (stiffnessG) al loro allungamento;
b) la natura della contrazione muscolare (fisiologica o patologica) ed il tipo di risposta estenso-elastica e visco-plastica del muscolo all’allungamento passivo (metaplasia fibrosa e metaplasia plastica);
c) gli effetti del movimento e della postura in relazione al peso dei segmenti, all’epoca ed alla durata delle acquisizioni relative allo stare in piedi ed al deambulare (sviluppo neuromotorio);
d) le anomalie di crescita dell'osso e le fratture (atrofia ossea ed osteoporosi);
e) le anomalie di sviluppo delle parti molli (artrogriposiG);
f) l'influenza delle malformazioni congenite.
Va sottolineato che nello sviluppo delle deformità secondarie la progressione avviene in genere lungo il percorso muscolo - articolazione-scheletro.
In età evolutiva, sono possibili cambiamenti significativi fino a quando non si completi la crescita scheletrica, per questo occorre diffidare della parola "definitivo" specie in caso di interventi di chirurgia ortopedica funzionale. La scoliosi, la lussazione dell'anca, il valgismo del ginocchio, il talismo, il piattismo e la valgo pronazione del piede sono spesso deformità secondarie che non sembrano così gravi quando il bambino è piccolo, ma che possono diventarlo nell'adolescente o nel giovane adulto.

PARALISI "CENTRALE"

Il termine centrale sta ad indicare la difficoltà del sistema nervoso di ideare, elaborare, programmare e controllare in corso d’opera l'esecuzione di definite combinazioni e sequenze motorie.
Molte possono essere le cause di una paralisi centrale nel bambino spina bifida:
a) le malformazioni congenite del sistema nervoso (idrocefalo, Arnold Chiari,G ecc.);
b) le componenti infiammatorie e degenerative (meningoencefalite);
c) il trauma del parto (paralisi cerebrale infantile);
d) le conseguenze a lungo termine di un idrocefalo non ben compensabile, dell’ancoraggio midollare con stiramento, della siringomie-lia,G ecc.
La presenza della paralisi centrale può rappresentare il problema più importante e più difficile da risolvere per il recupero del bambino spina bifida, perché può coinvolgere in misura più o meno marcata qualunque sistema funzionale (percezione, movimento, equilibrio, linguaggio, apprendimento, comprensione, comportamento, ecc.).
Di facile riconoscimento sono in genere le alterazioni della postura e del movimento (la così detta paralisi cerebrale infantile). Più difficili le problematiche connesse alla di- sfunzione percettivo motoria ed alle varie forme di disprassiaG e disgnosiaG. Il profilo intellettivo può apparire disomogeneo e le capacità di apprendimento compromesse per specifiche funzioni. Qualche volta sono riconoscibili turbe del comportamento ed alterazioni della personalità anche gravi.
Il disturbo motorio rappresenta allora il prodotto di un’incapacità progettuale (centrale) e di una difficoltà esecutiva (periferico). Nello stesso modo, il disturbo percettivo risulta conseguente ad una periferia che non sa informare il centro ed ad un centro che non sa processare le informazioni che riceve dalla periferia.
Un ultimo aspetto, generalmente pertinente i problemi centrali, è rappresento dalla assenza di un’adeguata motivazione, prerequisito indispensabile per qualunque apprendimento, dal più semplice al più complesso, e base di ogni possibilità di trattamento rieducativo.
Per comprendere le strategie, le tecniche e gli strumenti utilizzati nel trattamento riabilitativo, bisogna prima di tutto definire il livello neurologico della lesione, sia sotto l'aspetto negativo di ciò che manca e che occorrerà ove possibile andare a sostituire, sia sotto l’aspetto positivo di ciò che resta al paziente e potrà perciò essere utilizzato in senso compensatorio ed adattivo.
La prima domanda che dobbiamo porci è se e come sia possibile sostituire l'attività dei muscoli paralizzati per ottenere movimento. Per rispondere dobbiamo pensare a che cosa sa fare il muscolo. Con molta semplificazione possiamo ricordare fra le proprietà del muscolo quella di sapersi accorciare in seguito a definiti stimoli chimici o elettrici (chi non ricorda gli esperimenti sulle rane dell'abate Galvani?), di comportarsi come un pezzo di gomma capace di lasciarsi allungare e riprendere successivamente la propria forma iniziale ed infine di comportarsi come un corpo plastico che sottoposto ad un’azione deformante prolungata si lascia gradualmente modellare.
Pensando alla proprietà contrattile, l'obbiettivo riabilitativo dovrebbe essere quello di riuscire ad aggirare le strutture nervose lese (II motoneurone) per andare ad attivare direttamente i muscoli paralizzati. Qualche volta questo è possibile attraverso opportuni stimoli elettrici prodotti da una batteria ed azionati volontariamente dal paziente tramite un comando manuale. La tecnica prende nome di Stimolazione Elettrica Funzionale (FES), dove l'aggettivo funzionale sta a significare utilizzabile in relazione a precise attività come lo stare in piedi ed il camminare, quasi sempre in modo combinato all'impiego di ortesi (tutore reciprocante tipo RGO) e di ausili ortopedici (deambulatore o bastoni). Anche in Italia, in collaborazione con altri paesi europei ed americani, si stanno conducendo studi e sperimentazioni in questa direzione. Il paziente porta appeso alla cintura un piccolo stimolatore computerizzato, da cui partono dei sottili cavi che, raggiunte le cosce e le gambe, attraverso un elettrodo ad ago o un elettrodo di superficie, sono in grado di trasmettere lo stimolo ai muscoli desiderati. Questi si contraggono secondo una sequenza ordinata nello spazio e nel tempo da un computer appositamente programmato, facendo camminare il paziente. Potrebbe sembrare tutto molto semplice, ma non è così. Il problema da risolvere non è, infatti, solo quello di attivare una serie predefinita di passi ad una certa velocità ed in una certa direzione, ma anche quello di poter variare la velocità e la lunghezza di ogni singolo passo, a seconda della direzione che vogliamo seguire o degli ostacoli che dobbiamo superare. Specie in ambienti ristretti come nelle case di oggi, è molto difficile poter fare più di due o tre passi senza dover cambiare velocità e direzione e questo complica enormemente le cose. Per questo, anziché un programma totalmente automatico, si impiega una tastiera, fissata al deambulatore nel punto in cui viene impugnato dal paziente, in grado di consentire una regolazione dell’attività dello stimolatore. Anche questa soluzione non è ideale, perché richiede una grande concentrazione da parte del soggetto che, dovendo costantemente pensare a come si muove, finisce per ridurre la propria capacità di controllo simultaneo rispetto ad altre funzioni. Per il futuro si pensa di poter associare l'attivazione dei muscoli paralizzati a quella di altri muscoli sufficientemente controllati dal sistema nervoso, aggirando in questo modo il problema della induzione "a comando diretto" della contrazione desiderata.
Un'altra difficoltà per l'applicazione della stimolazione elettrica funzionale ai pazienti con spina bifida è rappresentata dal fatto che l'intensità di corrente elettrica necessaria per far attivare un muscolo paralizzato risulta troppo dolorosa per chi conserva ancora una parte di sensibilità.
Il muscolo non sa solo contrarsi ma, come abbiamo già detto, sa anche comportarsi come una molla (componente estenso-elastica), consentendo attraverso questa sua proprietà grandissimi risparmi di energia. Infatti, se andiamo a confrontare la quantità dei movimenti compiuti con l'energia consumata per produrli, possiamo scoprire che per il lavoro muscolare che facciamo consumiamo meno del previsto. Per ottenere una risposta elastica non si richiede consumo di energia ed il nostro cervello, che conosce perfettamente questa proprietà del muscolo, è in grado di sfruttarla ogni volta che ciò risulti possibile: la contrazione muscolare (attiva) interverrà solo per completare la risposta elastica (passiva) ove questa non risulti sufficiente allo scopo, o per sostituirla ove questa risulti inutilizzabile.
In condizioni di paralisi anche la risposta elastica può essere alterata: può essere diminuita ed allora il muscolo risulta troppo cedevole (metaplasia plastica) o può essere aumentata ed allora il muscolo risulta troppo rigido (metaplasia fibrosa). Nel primo caso l'articolazione si deforma in senso opposto all'attività del muscolo considerato, il contrario nel secondo caso. Fra i due estremi vi può essere la fortunata combinazione di un muscolo giustamente irrigidito in un’articolazione modicamente deformata, in grado di avvicinarsi molto al risultato che avrebbe prodotto contraendosi. E' però necessario che il paziente possegga il perfetto controllo delle stazioni di movimento a monte di quella considerata, per cui questa soluzione si rivela efficace solo per le lesioni midollari basse (S3, S2, S1) ed in genere per tempi limitati, in relazione ai cambiamenti inevitabilmente indotti dalla crescita scheletrica. Possiamo ritrovare il principio di sfruttare le proprietà elastiche anche nei tutori di nuova generazione che, a differenza di quelli classici costruiti in cuoio ed acciaio, utilizzano polimeri moderni come il polietilene ed il polipropilene, dotati di grande elasticità. Per poter calibrare la risposta elastica alle esigenze di ciascun paziente, si può variare il tipo di materiale, lo spessore o la geometria del tutore. Mentre il metallo può piegarsi o spezzarsi, la resina si lascia deformare per riprendere successivamente l'assetto iniziale.
Se i muscoli risultano eccessivamente accorciati, andranno allungati in via fisioterapica, dopo averne aumentato la temperatura per renderli più cedevoli, tramite stiramenti lenti, per evitare la componente contrattile, graduali, per superare la componente estenso-elastica, progressivi e prolungati, per accedere alla componente visco-plastica (l'unica che permette di ottenere una modificazione duratura della lunghezza del muscolo), o in via chirurgico ortopedica attraverso allungamenti tendinei, fasciotomie e capsulotomie.
Accanto agli allungamenti muscolari, una parte del trattamento fisioterapico si occupa della mobilizzazione articolare, che serve a conservare o a ripristinare una normale escursione, e dell’educazione posturale del paziente, attiva e passiva, ricorrendo se necessario a opportune ortesi statiche o di posizionamento (fisse o a geometria variabile) come le docce per la notte.
Attraverso la proprietà visco-plastica i muscoli proteggono la pelle e le ossa. Là dove viene a mancare l'interposizione del muscolo fra piano di appoggio, pelle ed osso, è molto facile assistere alla comparsa di decubiti, specie se la zona risulta abbondantemente umidificata e priva di sensibilità. Per questo è indispensabile sorvegliare e proteggere le zone dove la pelle si trova a diretto contatto da un lato con la superficie di appoggio e dall’altro con l’osso, attraverso imbottiture anallergiche applicate alle calzature, ai corsetti, ai tutori, alla carrozzina ortopedica.
Vi sono condizioni in cui le proprietà del muscolo da sole non bastano a compensare la paralisi ed occorre far ricorso ad altre forze come il peso dei segmenti ed i vincoli meccanici naturali o creati artificialmente. Il peso è una forza sempre disponibile a farci compiere movimento, tanto è vero che se non riu-sciamo a neutralizzarla continuamente finiamo per cadere. Il peso può essere una forza fisica sfruttabile dal punto di vista riabilitativo, purché si riesca a indirizzarla verso precise direzioni ed a contrastarla nella quantità desiderata. In pratica il peso dei segmenti può andare a sostituire in una certa misura la forza dei muscoli paralizzati, purché altri muscoli conservati siano in grado, a loro volta, di neutralizzarne gli effetti. A livello di determinate articolazioni come l'anca, il ginocchio e la tibiotarsica è possibile muoversi in una direzione sfruttando il peso ed in senso opposto sfruttando i muscoli conservati. Questa soluzione è particolarmente adatta per il bambino con mielomeningocele perché coincide con la distribuzione della innervazione (i muscoli antagonisti non hanno mai lo stesso livello di innervazione e quindi possono non essere interessati contemporaneamente dalla paralisi).
Per poter utilizzare questa soluzione è però indispensabile che le articolazioni mantengano un assetto favorevole a consentire alla forza peso di esprimersi nella direzione voluta. I poliomielitici, in virtù della sensibilità indenne, riescono a raggiungere in questo senso straordinari risultati, ma possono conservarli solo se mantengono un adeguato assetto articolare. Il bambino con spina bifida non riesce a raggiungere gli stessi livelli di abilità per la perdita della sensibilità periferica e per la compromissione in sede centrale dei meccanismi deputati al controllo dell'equilibrio, dovuta alla malformazione di Arnold Chiari.
Al momento di formulare il progetto terapeutico, la soluzione di utilizzare il peso in sostituzione della forza muscolare mancante dovrebbe essere perseguita sin dal principio, evitando che si sviluppino o si aggravino limitazioni o deformità articolari secondarie, che rendano progressivamente impossibile l’adozione di questo compenso.
Conoscendo il deficit, possiamo pensare a quali possono essere i possibili compensi da insegnare al bambino, ma dobbiamo anche contemporaneamente prevenire tutte le possibili condizioni che possono portare nel tempo alla perdita del compenso acquisito. Fra le cause più importanti in grado di portare alla compromissione o alla perdita dei compensi ricordiamo le retrazioni muscolari e le conseguenti limitazioni e deformità articolari, mentre fra gli interventi più efficaci per conservare i compensi possiamo citare l'igiene motoria e l'educazione posturale.
L'ultima serie di compensi possibili al deficit muscolare è rappresentata dalla adozione di vincoli articolari, che bloccando per una certa ampiezza o in una certa direzione una o più stazioni di movimento, permettano al paziente di realizzare una sorta di controllo motorio, per quanto semplificato. Si possono sfruttare i vincoli articolari naturali là dove esistono, ad esempio l’iperestensione del ginocchio, oppure introdurne di artificiali, in genere attraverso ortesi dinamiche ed ausili ortopedici progettati e costruiti in modo mirato.
Verrà ora affrontato il problema del cosa manca e come può essere sostituito e del cosa resta e come può essere utilizzato indicando per ciascun livello lesionale da S3 a L1 il modello ideale di stazione eretta e di cammino e descrivendo le relative ortesi, sia statiche o di posizionamento sia dinamiche o funzionali. Qualche cenno verrà dedicato anche al problema delle malformazioni primitive e delle deformità secondarie dell’apparato locomotore nei loro aspetti più frequenti e più importanti.
Per meglio comprendere quanto esposto, occorre ipotizzare la paralisi periferica come condizione isolata, cioè senza associazione di malformazioni primitive e di deformità secondarie e senza problemi centrali di programmazione e di controllo del movimento, come paralisi bilaterale e simmetrica e come forma di I tipo secondo la classificazione di Stark (cioè paralisi flaccida da perdita di attività del II neurone di moto, senza liberazione di attività spinale sottolesionale isolata).

LIVELLO S4-S5

Se la lesione interessa solo i segmenti spinali terminali S4-S5, non vi saranno significative perdite di forza agli arti inferiori, ma un cedimento del pavimento pelvico che produrrà un apparente sedere piatto con ano beante (totalmente rilasciato).

LIVELLO S2-S3

Paralisi motoria: parte della muscolatura intrinseca del piede: adduttore dell’alluce (S1-S2), flessore lungo dell’alluce (L5-S1-S2), flessore lungo delle dita (L5-S1-S2), quadrato plantare (S1-S2), lombricali (S1-S2), interossei plantari e dorsali (S1-S2).
Paralisi sensitiva: regione perianale.
Stazione eretta: non esiste alcun problema per l'acquisizione da parte del soggetto della stazione eretta in modo autonomo e nel pieno rispetto di questo appuntamento dello sviluppo neuromotorio.
Cammino: per il deficit della muscolatura intrinseca del piede (L5-S1-S2) si riduce l'irrigidimento dell'articolazione del tarso durante la fase di spinta (push off). L'ipostenia del flessore lungo dell'alluce e del flessore lungo delle dita (L5-S1-S2) rende difficile per il soggetto il cammino sulle punte. Nel suo complesso, tuttavia, la marcia non mostra alcuna limitazione di ambiente, di resistenza e di durata.
Compensi: a livello del piede sono sufficienti calzature ortopediche e plantari.
Malformazioni primitive: generalmente assenti; è possibile un metatarso varo.
Deformità secondarie: per effetto del carico il piede può acquistare col tempo una deformità in piatto-valgo-pronazione. Il calcagno è generalmente valgo. In qualche caso viene favorito il valgismo del ginocchio. Alcuni Autori segnalano la possibilità di un piede cavo o di un piede ad artiglio che si aggrava durante l’infanzia (Sharrard 1964 e Stark e Baker 1967).
Ortesi statiche: in presenza di un varismo metatarsale si consiglia di adottare per i primi mesi di vita una calzatura ad asse deviato, con meccanismo a molla. Nei casi più gravi si può ricorrere ad una doccia gamba piede a correzione progressiva.
Ortesi dinamiche: sono consigliabili calzature ortopediche da impiegare fin dall'inizio dalla stazione eretta e del cammino. La scarpa dovrà avere le seguenti caratteristiche: tomaia sopramalleolare, forti alti mediali semirigidi con contrafforti bassi laterali, punte normali, giroguardo bilaterale (fino all'acquisizione di una marcia sicura), suole flessibili antisdrucciolo, allacciatura alla punta, calzata ampia, tacco corto. Il plantare dovrà prevenire il valgismo calcaneare mediante un'ampia conca tallonica (plantare avvolgente) e sostenere la volta con un arco longitudinale non eccessivo, preferibilmente in materiale comprimibile per evitare problemi cutanei e restituire al piede una funzione ammortizzante. Nel caso sia presente un metatarso varo congenito, l'arco dovrà invece essere metatarsale. Se è presente una deformità ad artiglio delle dita, l’arco longitudinale dovrà essere più corto e andrà associato ad un’oliva metatarsale. Speronature mediali al tacco (intraruotanti) verranno aggiunte in caso di retroversione dei colli femorali. Più raramente, in caso di spiccata antiversione dei colli o di adduzione delle punte, per limitare la rotazione interna del piede si aggiungerà alla suola una speronatura esterna.

LIVELLO S1-S2

Paralisi motoria: sono compromessi solo parzialmente gli estensori dell'anca, specie il grande gluteo (L5-S1-S2), gli ischiocrurali, specie il bicipite femorale sia al capo lungo (L5-S1-S2-S3) che al capo breve (L5-S1-S2), il soleo (L5-S1-S2), il gastrocnemio (S1-S2), ed altri plantiflessori estrinseci come il plantare (S1-S2), mentre risulta compromessa in maniera importante tutta la muscolatura intrinseca del piede (L5-S1-S2).
Paralisi sensitiva: regione interglutea, genitali e segmento prossimale della superficie posteromediale delle cosce, a volte estensione distale fino tallone.
Stazione eretta: alla tibiotarsica si verifica un movimento in senso orario di tutto il corpo rispetto al piede (flessione dorsale) che porta il paziente a cadere in avanti. Per non cadere egli flette le ginocchia (movimento antiorario), aumentando l'impegno antigravitario del quadricipite, per incremento del braccio della forza di gravità. All'anca l'ipostenia degli estensori può essere aggirata limitando la flessione delle coxofemorali (un momento flessorio troppo elevato condurrebbe la muscolatura glutea verso una totale insufficienza nei confronti del movimento di estensione). (
Quando vengono estese le ginocchia, per ridurre l'impegno antigravitario del quadricipite, le anche tendono a flettersi (movimento orario) ed il paziente può cadere in avanti con il tronco.
Per mantenere la stazione eretta egli è costretto a:
1) flettere ed estendere continuamente le ginocchia, con inevitabile affaticamento;
2) compiere una marcia sul posto, cadendo da un piede all'altro;
3) equilibrarsi verso avanti appoggiandosi con una mano ad un sostegno;
4) portare gli arti inferiori in marcata rotazione interna "puntellando" un ginocchio contro l'altro, ma occorre per questo la complicità di una spiccata antiversione dei colli femorali (cosce intraruotate).
Cammino: viene acquisito in genere lievemente in ritardo e sempre prima della capacità di stare fermo in piedi. Si assiste alla scomparsa della fase di spinta (push off) quando il tallone si solleva dal suolo. Durante il trasferimento del carico da un arto all'altro viene meno l'azione dei flessori plantari a frenare la corsa in avanti della gamba, con conseguente aumentata flessione del ginocchio al momento di iniziare il pieno appoggio. Il piede, per la paralisi della muscolatura intrinseca, tende a cedere nel suo primo raggio, deformandosi in piatto-valgo-pronazione, specie durante la fase finale dell'appoggio monopodale, quando il carico si porta verso la punta e procede successivamente verso il tallone controlaterale. In complesso tuttavia il paziente riesce a camminare liberamente in qualsiasi ambiente senza vere limitazioni di resistenza o di durata.
Compensi:
- a livello dell'anca è sufficiente il peso del tronco (m*) che, passando dietro l'asse trasverso delle coxofemorali, costituisce una forza estensoria in grado di vicariare l’azione degli estensori deficitari;
- a livello del ginocchio l'azione del quadricipite (indenne) per il raddrizzamento antigravitario e la forza peso (m**) in aiuto agli ischiocrurali compromessi;
- a livello della tibiotarsica un vincolo meccanico (ortesi gamba piede o AFO) per impedire la flessione dorsale del piede e la conseguente caduta in avanti dell’intero corpo.
Malformazioni primitive:
- talismo con o senza cavismo e dita ad artiglio per il cedimento dei plantiflessori estrinseci (metaplasia plastica) ed irrigidimento dei plantiflessori intrinseci (metaplasia fibrosa), di fronte all’azione dei dorsiflessori conservati ed agli effetti della forza peso (m***).
- equinismo con o senza cavismo per la ridotta crescita in lunghezza dei plantiflessori, intrinseci ed estrinseci (metaplasia fibrosa). Purché non eccessiva, questa deformità può rivelarsi funzionalmente utile, perché frenando la caduta in avanti del corpo sul piede può vicariare l'ipostenia dei plantiflessori. E' tuttavia difficile che la retrazione dei plantiflessori si mantenga equilibrata per tutta la durata dello sviluppo somatico;
- disallineamento malleolare (posteriorizzazione del malleolo peroneale);
- intra ed extra torsione tibiale.
Deformità secondarie:
- alluce valgo e deformità ad artiglio delle dita;
- posteriorizzazione del malleolo peroneale e valgismo del calcagno;
- talismo: dovuto all'azione deformante della forza peso (m***) nella stazione eretta e nel cammino ed allo squilibrio tra dorsiflessori conservati e plantiflessori compromessi durante il riposo. Una deformità marcata in talismo, con carico prevalente sui talloni, aumenta nel paziente le difficoltà di bilanciamento in stazione eretta;
- equinismo: per metaplasia fibrosa del tricipite surale paralitico e conseguente sua mancata crescita in lunghezza;
- valgo-pronazione: favorita dalla "medializzazione" dell'asse meccanico rispetto all'asse anatomico e dalla prevalenza dei peronei (L4-L5-S1) sul tibiale posteriore (L5-S1). Quando il piede diviene talo-valgo-pronato, la tibia tende a torcersi esternamente ed il ginocchio può allora divenire flesso-valgo; - varo-supinazione: una deformità in talo-varo-supinato può essere prodotta dalla "prevalenza" del tibiale anteriore (L4-L5-S1) ed accompagnarsi ad intratorsione tibiale;
- piede cavo: se la muscolatura intrinseca paretica subisce una metaplasia fibrosa;
- piede reflesso: quando lo squilibrio fra muscolatura intrinseca (metaplasia plastica), flessori plantari (metaplasia fibrosa) e flessori dorsali (conservati) è marcato, il calcagno tende a verticalizzarsi ed il piede assume un aspetto rotondeggiante;
- valgismo del ginocchio accompagnato, a volte, da una modesta limitazione articolare in flessione, specie se sono presenti talo-valgismo del piede ed antiversione del bacino;
- tendenza a sviluppare un’antiversione del bacino (flessione delle anche) e ad accentuare in funzione compensatoria la lordosi lombare.
Ortesi statiche:
* banana splint: per contenere la dorsiflessione del piede durante il riposo. Si appoggia sulla superficie dorsale del piede, nella regione del collo;
* doccia gamba piede: se non vi sono componenti rotatorie (add.-abd.) per contenere l'equinismo è sufficiente una doccia corta. Al ginocchio non vi è pericolo di una limitazione articolare in flessione per la prevalenza della muscolatura estensoria su quella flessoria;
* doccia coscia gamba piede: per riconquistare l'allineamento del piede rispetto al ginocchio in presenza di un extra o più raramente di un’intratorsione tibiale o di un varismo o valgismo dell'avampiede. Perché l'arto non ruoti all'interno della doccia occorre realizzare una presa fra condili tibiali e femorali ed il ginocchio deve essere posizionato in leggera flessione (15°-20°). I malleoli devono essere accuratamente stilizzati ed un foro praticato in corrispondenza della superficie inferiore del calcagno deve consentire di poter ispezionare opportunamente con la punta di un dito a doccia calzata la discesa del tallone. La doccia può essere articolata al ginocchio per correggere in modo progressivo il valgismo o il varismo o la flessione (tutore di posizionamento a geometria variabile).
Nel caso si voglia contenere o correggere una concomitante extrarotazione degli arti inferiori, le due docce possono essere rese solidali tra loro da una barra tipo Dennis Brown. Lo stesso presidio può essere impiegato come divaricatore per combattere una sublussazione dell'anca.
Ortesi dinamiche:
- calzature ortopediche sopramalleolari con forti alti bilaterali rigidi (a cannoncino);
- tutori gamba piede (AFO) costruiti per opporsi alla flessione dorsale della gamba sul piede con una resistenza di poco superiore al peso del soggetto. La punta del tutore può essere allineata ai metatarsi, per consentire maggiore scorrevolezza al cammino, o alle dita se si intende favorire invece la stabilità della stazione eretta;
- tutori gamba piede (AFO) articolati alla tibiotarsica con arresto regolabile della flessione dorsale e della flessione plantare. Il tutore è costituito da due segmenti, piede e gamba, sovrapposti per un breve tratto, in modo da consentire una regolazione indipendente sia della flessione dorsale che della flessione plantare. Per facilitare la marcia, alla tibiotarsica si concedono in genere 15° - 20° di escursione intorno ad un asse meccanico, opportunamente orientato, posto leggermente più in alto dell'asse anatomico (per non far decubitare i malleoli). Poiché la stazione eretta impone un'anca estesa ed un ginocchio semiesteso, l'arresto della flessione dorsale dovrà sempre risultare inferiore ai 90° (se fosse maggiore di 90°, il ginocchio andrebbe in estensione e l'anca in flessione, portando il paziente a cadere in avanti). Tanto minore è l'angolo della tibiotarsica, tanto maggiore risulta la sicurezza del paziente (anca estesa, ginocchio moderatamente flesso, baricentro abbassato), ma anche l'impegno antigravitario richiesto al quadricipite.
Nel caso sia contemporaneamente presente una paralisi cerebrale infantile (diplegia, paraparesi), l'arresto della flessione dorsale dovrà avvicinarsi maggiormente ai 90°, per l'insuperabile prevalenza dello schema centrale (PCI) su quello periferico (S1-S2). Alla calzatura potrà essere aggiunto anche un rialzo al tacco;
- tutori a spirale: oltre a contenere la flessione dorsale, sviluppano un'azione rotatoria contribuendo ad allineare il piede rispetto al ginocchio. A seconda del verso si distinguono in destro-giri (senso orario) e sinistro-giri (senso antiorario).
Per il loro scarso ingombro permettono di utilizzare anche calzature del commercio. Nei due arti inferiori le spirali possono essere reciproche, verso l’interno o verso l’esterno, o concomitanti (a dx o a sn) in caso di deformità a colpo di vento. Per favorire l'azione correttiva, a volte è necessario che la spirale raggiunga i condili femorali (appoggio sottorotuleo sovracondiloideo).

LIVELLO L5-S1

Paralisi motoria: sono parzialmente conservati gli abduttori: piccolo gluteo (L4-L5-S1) e medio gluteo (L4-L5-S1), gli ischiocrurali interni (L4-L5-S1-S2), il gracile (L2-L3-L4) ed i flessori dorsali del piede (L4-L5-S1): estensore lungo e breve delle dita, peroneo terzo, estensore lungo e breve dell’alluce, tibiale anteriore, mentre risultano gravemente compromessi il grande gluteo (L5-S1-S2), il bicipite femorale capo lungo (L5-S1-S2-S3) e capo breve (L5-S1-S2), i plantiflessori estrinseci (L5-S1-S2) compreso il femorali posteriore (L5-S1) e la muscolatura intrinseca del piede (L5-S1-S2).
Paralisi sensitiva: genitali, regione glutea, superficie posteriore delle cosce e delle gambe, pianta dei piedi, dal calcagno verso il margine esterno della punta.
Stazione eretta: alla tibiotarsica ed al ginocchio i problemi sono gli stessi del livello S1-S2 (flessione dorsale del piede e modesta flessione compensatoria del ginocchio), mentre a livello dell'anca risulta ulteriormente compromessa la possibilità di estensione per il deficit più marcato dei glutei. Per fare in modo che linea di gravità condotta dal baricentro di m* passi al di dietro dell'asse trasverso delle coxofemorali, il paziente mantiene l'anca nella massima estensione possibile affidandosi alla accentuazione della lordosi lombare ed alla retropulsione delle spalle, nel caso che l'estensione da sola non risulti più sufficiente per la comparsa di un’antiversione del bacino.
Cammino: il soggetto cammina "cadendo" sul proprio ginocchio semiflesso, per poi sollevarsi durante la fase di pieno appoggio e cadere di nuovo sul ginocchio controlaterale semiflesso al semipasso successivo. Per contenere la caduta laterale del bacino, conseguente alla ipostenia del medio gluteo, e facilitare il distacco da terra dell'arto inferiore in fase di sospensione, il tronco si inclina sul piano frontale dal lato dell'arto in appoggio (pendolo frontale), mentre il quadrato dei lombi contribuisce a sollevare l'emibacino controlaterale. Il baricentro, anziché spostarsi lungo una linea sinusoidale, sale in alto avanti per poi cadere bruscamente verso il basso (movimento a denti di sega). Il paziente è in grado di compiere qualche passo anche senza tutori, ma con grande instabilità e ridotta resistenza; con le ortesi riesce invece rapidamente a raggiungere una sufficiente autonomia, sicurezza e resistenza su quasi tutti i terreni.
Compensi:
- anca: il peso di m*, passando al di dietro dell'asse traverso delle coxofemorali, costituisce una forza estensoria alla quale si opporranno senza difficoltà i muscoli flessori dell'anca indenni (L1-L2-L3-L4) e favoriti dalla eccentricità della contrazione e dalla presenza di vincoli passivi (capsula articolare, legamento di Bertin);
L’insufficienza del medio gluteo (L4-L5-S1) riduce sul piano frontale la stabilità laterale del bacino durante l'appoggio monopodale ed obbliga il paziente ad una maggior enfasi nel pendolo frontale. Durante l'appoggio bipodale, la stabilità laterale viene invece sufficientemente garantita dagli adduttori conservati (L2-L3-L4);
- ginocchio: il peso di m** per produrre la flessione, il quadricipite per l'estensione. Per la compromissione degli ischiocrurali (L4-L5-S1-S2) diviene minore la stabilità frontale del ginocchio;
- tibiotarsica: in fase di appoggio, il peso di m*** tende a produrre la flessione dorsale della gamba sul piede, mentre in fase di sospensione il sollevamento del piede è affidato alla contrazione dei dorsiflessori (L4-L5-S1). Non vi sono compensi naturali alla caduta in avanti del corpo sul piede, salvo la rara evenienza di una retrazione "di misura" del tricipite surale (metaplasia fibrosa); occorre perciò utilizzare un vincolo meccanico (ortesi) che arresti la flessione dorsale e garantisca una sufficiente stabilità laterale al ginocchio, fino alla acquisizione di una marcia sicura.
Malformazioni primitive:
- piede equino varo supinato con intratorsione tibiale, generalmente con rigidità di tipo artrogripotico; - talismo verticale;
- piede ciondolante;
- tibia torta (intraruotata o extraruotata).
Deformità secondarie:
- dita: alluce valgo, dita ad artiglio o accavallate, dita affollate;
- piede: talo-valgo-pronazione per effetto del peso che passa all'interno del piede e per la prevalenza dei dorsiflessori, specie del peroneo terzo (L4-L5-S1) e dell’estensore lungo e breve delle dita (L4-L5-S1), sui plantiflessori (L5-S1-S2). La tibia va incontro ad una deformazione in extratorsione e per il paziente aumenta la difficoltà ad equilibrarsi in stazione eretta. Per metaplasia fibrosa dei muscoli cavisti il piede può cavizzarsi;
- ginocchio: flesso-valgismo per azione:
* dal basso della deformità in talo-valgo-pronato del piede ed in extratorsione della tibia;
* dall'alto della deformità in flesso adduzione delle cosce;
* per effetto del pendolo frontale eseguito durante la marcia.
Si assiste col tempo all'instaurarsi di una "rotula alta" per cedimento del tendine sottorotuleo, con conseguente aumento della difficoltà del quadricipite a produrre una completa estensione del ginocchio durante il cammino. Una certa importanza nell’origine della deformità è anche da attribuirsi al decubito dorsale durante il sonno con arti inferiori in triplice flessione;
- anca: flesso adduzione
* per prevalenza della muscolatura flesso-adduttoria su quella estenso-abduttoria;
* per ritardo della verticalizzazione;
* per eccessivo utilizzo della locomozione quadrupedica (che favorisce anche la risalita della rotula);
* per eccessivo tempo trascorso in posizione seduta;
* per adozione di ortesi errate (tibiotarsica a 90°, ginocchio esteso);
L’anca non risulta dislocata alla nascita ma può lussarsi nei primi tre anni di vita;
- rachide: iperlordosi lombare rigida, compensatoria della flessione delle anche e della antiversione del bacino.
Qualora siano presenti un equinismo congenito non corretto chirurgicamente o un recurvato congenito rigido di ginocchio o venga acquisita una marcata limitazione articolare in flessione alle coxofemorali, la stazione eretta ed il cammino del paziente comporteranno di necessità l'appoggio a supporti ortopedici per gli arti superiori (canadesi, tripodi, bastoni), per frenare la caduta in avanti del tronco.
In questo caso, non verrà sfruttata appieno la potenzialità residua del paziente, specie a livello del quadricipite, il cui impegno verrà ridotto dal peso di m** che, passando al davanti dell'asse di flesso estensione del ginocchio, tenderà ad estendere questa articolazione. E' come se il paziente assumesse i compensi propri del livello lesionale soprastante (L4-L5).
Utilizzando appoggi per gli arti superiori, vi saranno invece meno problemi di instabilità laterale del ginocchio.
All'opposto, una limitazione articolare in flessione al ginocchio fra 10° e 20°, specie se l'anca è flessa, può rappresentare per il paziente un indubbio vantaggio ed essere una condizione non solo da rispettare, ma se possibile da favorire artificialmente dal basso, posizionando opportunamente la tibiotarsica in flessione dorsale.
Ortesi statiche:
docce coscia gamba piede fisse o a correzione progressiva del valgismo del ginocchio e/o della flessione plantare del piede.
Quando si cerca di correggere una deformità sviluppata sul piano orizzontale (piede abdotto o addotto, tibia torta ecc.) non sempre il movimento rotatorio imposto dall'ortesi si svolge a livello dell'articolazione considerata. Ad esempio un Dennis Brown applicato alle calzature, non sempre produce l'allineamento del piede rispetto al ginocchio, specie se il primo è rigido; più spesso è l'anca a ruotare o addirittura il ginocchio, se è presente un certo grado di instabilità. Per questo è preferibile l'impiego di ortesi che blocchino i segmenti a monte di quello che si intende correggere, in maniera che il movimento correttivo si svolga effettivamente a livello della stazione articolare considerata. Ortesi dinamiche:
tutori coscia gamba piede (KAFO) articolati alla tibiotarsica con arresto della flessione dorsale a 84°-86° ed articolati al ginocchio senza arresto. La presenza del segmento di coscia previene e contiene la deformità in valgismo del ginocchio e contribuisce ad allineare il piede rispetto allo zenith della rotula.
L'asse meccanico del ginocchio deve coincidere con l'asse anatomico, idealizzato a 30° gradi di flessione.
Una volta conquistata una marcia sicura, è possibile dapprima rimuovere il segmento di coscia sostituendolo con un appoggio sottorotuleo sovracondiloideo, articolato o fisso, e successivamente semplificare il tutore sostituendo l'articolazione tibiotarsica con un'azione a molla affidata alla deformabilità del materiale (in genere polipropilene).
L'appoggio sovracondiloideo sottorotuleo può essere realizzato anche su di un tutore a spirale.

LIVELLO L4-L5

Paralisi motoria: risultano gravemente compromessi gli estensori dell’anca: grande gluteo (L5-S1-S2) ed ischiocrurali (L4-L5-S1-S2), gli abduttori medio e piccolo gluteo (L4-L5-S1) incluso il tensore della fascia lata (L4-L5-S1), i flessori del ginocchio (L4-L5-S1-S2) - a volte restano tracce del semitendinoso (L4-L5-S1-S2) -, i muscoli della gamba e del piede, ad esclusione del tibiale anteriore (L4-L5-S1), che può essere parzialmente attivo. E' questo il livello spinale in cui risulta più elevato lo sbilanciamento muscolare tra flessori (L1-L2-L3-L4) ed adduttori (L2-L3-L4) praticamente indenni, ed estensori (L5-S1-S2) ed abduttori (L4-L5-S1) completamente paralizzati. La contrazione degli adduttori, reclutati in modo sinergicoG ogni qualvolta viene attivata la catena dei flessori - dagli addominali (T5-T12) allo ileopsoas (L1-L2-L3-L4) -, riduce l’efficacia del pendolo frontale (Duchenne)G nell'annullare il TrendelemburgG e nel favorire il sollevamento dell'arto inferiore che deve andare in sospensione.
Paralisi sensitiva: genitali, regione glutea, superficie posteriore delle cosce e delle gambe, pianta dei piedi, regione anterolaterale delle gambe.
Stazione eretta: la conservazione dei flessori dell'anca (L1-L2-L3-L4) e del quadricipite femorale (L2-L3-L4) consentirebbe teoricamente al paziente di adottare lo stesso compenso posturale incontrato a L5-S1, ma per il livello L4-L5 è più difficile conservare una sufficiente estensione dell'anca. Quasi sempre, perché la linea di gravità condotta da m* passi al di dietro dell'asse trasverso di flesso estensione delle coxofemorali, occorre fare ricorso:
1) alla accentuazione della lordosi lombare;
2) alla flessione compensatoria delle ginocchia;
3) alla retropulsione delle spalle;
4) alla estensione degli arti superiori.
Le anche vengono stabilizzate in flesso-adduzione, con conseguente flesso-valgismo delle ginocchia, extratorsione delle tibie e talo-valgo-pronazione dei piedi. Se la limitazione articolare in flessione delle anche supera i 30°, il paziente deve fare ricorso a supporti ortopedici per uno o più spesso per entrambi gli arti superiori.
Cammino: è sempre affidato alla caduta sul ginocchio flesso e alla sua successiva estensione ad opera del quadricipite, quando l'arto inferiore controlaterale in sospensione oltrepassa la verticale.
La difficoltà di stabilizzare lateralmente il bacino, per il deficit del medio e del piccolo gluteo e l'interferenza degli adduttori, aggrava il problema di sollevare da terra l'arto inferiore in sospensione ed impone al paziente un’accentuazione del pendolo frontale verso il lato in appoggio (marcia dondolante o pendolare). Per aumentare la lunghezza del passo, egli ruota sull'arto a terra, in parte all'anca in parte al suolo, trasferendo all'arto in sospensione la forza inerziale (pendolo sagittale), purché il baricentro relativo dei segmenti tutorizzati resti sufficientemente basso. E' per questo motivo che il peso della ortesi può non costituire un ostacolo all'avanzamento dell'arto inferiore. La lunghezza del semipasso resta tuttavia modesta.
La possibilità di realizzare il cammino senza ricorso all’appoggio degli arti superiori risulta, ovviamente, molto più difficile che per il livello L5-S1 e viene comunque compromessa la velocità, la sicurezza e la resistenza complessiva. Il cammino può avvenire anche in ambienti esterni, ma con limitazioni rispetto al tipo di terreno.
Con i supporti ortopedici (canadesi, tripodi, bastoni), il cammino presenta una minore inclinazione del tronco sul piano frontale (pendolo frontale) ed una maggior lunghezza del passo, legata alla possibilità di trasferire il carico su un di arto in cui il ginocchio può oltrepassare di molto la posizione conquistata nello spazio dall'anca. Lo schema è generalmente a quattro tempi (arto inf. dx, sup. sn, inf. sn, sup dx. e via di seguito).
Compensi: a rachide lombare, anca e ginocchio sono gli stessi incontrati a L5-S1. La compromissione dei dorsiflessori alla tibiotarsica aumenta la difficoltà di sollevamento da terra e di avanzamento nello spazio di un arto inferiore reso più lungo dalla caduta del piede. I tutori dovranno quindi compensare anche questo movimento (antiequino).
Se il paziente utilizza supporti ortopedici per gli arti superiori, la linea di gravità passa al davanti delle tre articolazioni portanti dell'arto inferiore. All'anca l'azione dei glutei verrà sostituita dalla spinta sugli arti superiori, al ginocchio sarà favorita l'estensione e quindi non potrà essere pienamente sfruttata la forza residua del quadricipite, mentre il piede si deformerà in piatto-valgo-pronazione. Sul piano frontale, il pendolo (Duchenne) bilancia la caduta di bacino (Trendelenburg).
Malformazioni primitive:
* anca flessa addotta;
* coxa valga con lateralizzazione della testa femorale;
* lussazione congenita monolaterale o bilaterale (mielodisplasica). Si caratterizza per un cotile poco profondo e l'assenza del segno dello scatto. La lussazione monolaterale è più grave di quella bilaterale perché conduce inevitabilmente ad obliquità pelvica, iperappoggio ischiatico e scoliosi;
* ginocchio recurvato per metaplasia plastica degli ischiocrurali a quadricipite intatto (raro);
* tibia torta intraruotata o extraruotata (torsione fisiologica = 15° verso l'esterno);
* piede equino-varo-supinato rigido (artrogripotico);
* piede talo valgo pronato, piede ballante, piede deforme per alterazioni scheletriche;
* calcagno varo per l’azione isolata del tibiale anteriore;
* deformità dell'alluce e delle altre dita.
Deformità secondarie: l'interferenza degli adduttori (L2-L3-L4) porta ad una coxa valga-antiversa e successivamente alla sublussazione o alla lussazione, a volte monolaterale più spesso bilaterale, con segno dello scatto positivo. Ad anche lussate, per effetto dell'avvicinamento dei punti di inserzione, l'interferenza degli adduttori si riduce (falsa innocenza). Il processo lussante inizia nel bambino qualche tempo dopo l'acquisizione della capacità di passare da supino a seduto, quando viene ridotta generalmente l’attenzione verso questo aspetto, rassicurati dall’assenza di una lussazione congenita.
Fra gli elementi responsabili della acquisizione di una limitazione articolare in flesso-adduzione ricordiamo:
- il ritardo della verticalizzazione;
- l'eccessiva esercitazione della locomozione quadrupedica;
- l'eccessivo tempo trascorso in posizione seduta;
- la non adeguata educazione posturale.
La lussazione, attraverso l’obliquità del bacino, può favorire la comparsa di una scoliosi evolutiva. La flessione dell'anca conduce sempre ad un’iperlordosi lombare rigida, a volte dolorosa, che tuttavia può conferire più stabilità al rachide nei confronti della progressività della scoliosi.
Il ginocchio viene trascinato in flessione dalla antiversione del bacino e dal talismo del piede ed in valgismo dalla intrarotazione della coscia e dalla extrarotazione della gamba.
Per il piede vale quanto descritto per il livello L5-S1, ma con minor gravità (minor talismo e minor valgismo), poiché il solo muscolo conservato è il tibiale anteriore (L4-L5-S1), che potrebbe secondo Sharrard giustificare invece una deformità in varismo. E' però più frequente la comparsa di decubiti sulle aree del piede sottoposte a carico.
Ortesi statiche:
* divaricatore di Putti: consente la centratura delle teste femorali mantenendo le anche in semi estensione e moderata abduzione-rotazione mediale (Mc Kibbin 1973). Il suo impiego va limitato a casi selezionati, in cui è possibile un miglioramento della deformità (displasia moderata, età compresa tra 6 e 18 mesi);
* docce coscia gamba vincolate ad una barra di divaricazione;
* docce coscia gamba piede vincolate ad un Dennis Brown. Nel caso sia presente un recurvato, le docce devono essere realizzate con le ginocchia in semiflessione (30° circa). Vedi livello S1-S2;
* tutore dinamico di abduzione, articolato per la flesso-estensione e registrabile per l’adduzione-abduzione.
Ortesi dinamiche:
- tutori coscia gamba piede ad appoggio anteriore, con possibilità di passaggio nel tempo a tutori ginocchio gamba piede. Vedi livello L5-S1;
- tutori coscia gamba piede ad appoggio posteriore parziale o totale, con o senza appoggio sottogluteo. L’articolazione del ginocchio, generalmente libera, può essere bloccata da un ginocchiello. L’articolazione tibiotarsica deve presentare sia un arresto della flessione dorsale (84°-86°), sia un arresto alla flessione plantare (100°);
- tutori coscia gamba piede con asse posteriorizzato al ginocchio. Nel paziente che cammina appoggiato a supporti ortopedici per gli arti superiori per sfruttare a ginocchio esteso la forza peso che, passando davanti all’asse meccanico, contribuisce a mantenere estesa questa articolazione, mentre resta possibile la flessione del ginocchio durante la fase di sospensione del ciclo del passo. In questo caso, la tibiotarsica deve consentire circa 20° di escursione articolare attorno all’angolo retto. Per favorire il sollevamento dell'arto in sospensione, attraverso il pendolo frontale, e contenere la rotazione interna degli arti inferiori, i tutori coscia gamba piede possono essere resi solidali al bacino da tiranti in tessuto elastico collegati ad una cintura pelvica.

LIVELLO L3-L4

Paralisi motoria: oltre agli estensori (L5-S1-S2) ed agli abduttori dell’anca (L4-L5-S1), risultano compromessi in parte gli adduttori (L2-L3-L4), compreso il gracile (L2-L3-L4), in parte il quadricipite (L2-L3-L4), che a ragione viene considerato il passaporto per il cammino, i flessori del ginocchio (L4-L5-S1-S2) e tutti i muscoli della gamba.
Paralisi sensitiva: è risparmiata la superficie anteriore delle cosce e delle ginocchia.
Stazione eretta: è indispensabile il ricorso a supporti ortopedici per gli arti superiori, anche se alcuni pazienti, particolarmente abili, possono imparare a stare in piedi (ma non a camminare) sfruttando la forza peso, opportunamente proiettata dietro l'anca, davanti al ginocchio e davanti alla tibiotarsica. Più frequentemente è dato di assistere alla stabilizzazione passiva del ginocchio ad opera della forza peso, quando l'anca è flessa.
L'entità del carico sostenuto dagli arti superiori è direttamente proporzionale alla misura della flessione dell'anca ed inversamente proporzionale alla lordosi lombare ed alla flessione compensatoria delle ginocchia.
Cammino: l'insufficienza del quadricipite (L2-L3-L4) impone generalmente un vincolo meccanico al ginocchio, il cui grado di flessione andrà rapportato all'entità della limitazione articolare in flessione dell'anca, purché la tibiotarsica lo consenta, per ridurre l'impegno degli arti superiori. Il paziente cammina avanzando, attraverso la flessione dell'anca, un arto inferiore reso più corto dall'inclinazione controlaterale del tronco (pendolo frontale) e dall'elevazione omolaterale del bacino attraverso il quadrato dei lombi (T12-L1-L2-L3). La parziale compromissione degli adduttori (L2-L3-L4) migliora il pendolo frontale rispetto al livello L4-L5. La rotazione sull'arto in appoggio favorisce l'avanzamento per inerzia di quello in sospensione e per questo il peso del tutore può non costituire un ostacolo.
Lo schema della marcia può essere a due o a quattro tempi. Il cammino avviene prevalentemente intramoenia,G data la ridotta velocità complessiva e la rapida affaticabilità del paziente. Per i percorsi extramoenia e in ogni caso per tutti gli spostamenti che richiedono velocità e sicurezza, il paziente deve far ricorso alla carrozzina ortopedica.
Compensi:
- anca:
* l'impiego degli arti superiori attraverso i supporti ortopedici;
* l'inclinazione omolaterale del tronco e l'elevazione controlaterale del bacino.
* l'appoggio posteriore del tutore, purché un sostegno ischiatico troppo alto non conduca il bacino in antiversione.
- ginocchio: un tutore ad asse posteriorizzato consente di sfruttare la forza residua del quadricipite in fase d’appoggio, conservando la mobilità dell'articolazione in fase di sospensione. Se invece il quadricipite è troppo compromesso occorre bloccare l'articolazione del ginocchio. Se è necessario adottare al ginocchio una flessione compensatoria della limitazione articolare in flessione all'anca, non sarà in alcun modo possibile sfruttare la forza residua del quadricipite per l'aumento del braccio di leva della forza di gravità;
- tibiotarsica: il vincolo meccanico dell'ortesi con 20° di escursione intorno all'angolo retto, se il ginocchio è esteso, o verso la flessione dorsale, se il ginocchio viene bloccato in parziale flessione per compensare una limitazione articolare in flessione dell'anca.
Malformazioni primitive:
- anca flessa addotta in rotazione laterale;
- lussazione congenita monolaterale o bilaterale (anca mielodisplasica). La lussazione può ridursi ad anca flessa ed accentuarsi con il carico;
- ginocchio recurvato con marcata limitazione alla flessione (retrazione del quadricipite);
- tibia torta;
- piede torto artrogripotico.
Deformità secondarie: la compromissione degli adduttori (L2-L3-L4) riduce leggermente il rischio di una lussazione acquisita delle coxofemorali. Resta grave la limitazione articolare in flessione, favorita dal ritardo della verticalizzazione e dal mantenimento della posizione seduta, mentre perde importanza la locomozione quadrupedica che il paziente non riesce più a realizzare per l'insufficiente stabilità del bacino. Il valgismo e l’antiversione del collo femorale sembrano minori che al livello precedente. L'impiego di un’articolazione con arresto contiene il valgismo del ginocchio e l'extratorsione tibiale. L’iperlordosi lombare è sempre rigida. Il rischio di scoliosi evolutiva diviene sempre più elevato.
Per il ginocchio e per il piede vale quanto già illustrato per i livelli precedenti, con maggiore incidenza del piede ballante. Il difetto di crescita degli arti inferiori diviene più marcato.
Ortesi statiche: come L4-L5
Ortesi dinamiche:
Tutori coscia gamba piede ad appoggio posteriore, con arresto del ginocchio a caduta di anello, a ponte posteriore tipo Hoffa o a ponte anteriore tipo Dubowitz.
Di solito è necessario collegare i tutori coscia gamba piede ad una cintura pelvica tramite tiranti registrabili in tessuto elastico, in funzione di estensori abduttori extrarotatori.

LIVELLO L2-L3

Paralisi motoria: sono ancora parzialmente conservati i flessori dell'anca, sia superficiali (L2-L3-L4) che profondi (L1-L2-L3-L4), mentre risulta gravemente compromesso il quadricipite (L2-L3-L4). Paralisi sensitiva: risulta risparmiata la sensibilità della superficie ventrale delle cosce.
Stazione eretta: mentre a livello della tibiotarsica e del ginocchio risulta indispensabile introdurre vincoli meccanici, all'anca potrebbe essere ancora utilizzata la forza peso (m*) proiettata dietro all'asse trasverso delle coxofemorali, poiché sono conservati i muscoli flessori. Tuttavia, nella pratica, come per il livello L3-L4 è indispensabile far ricorso a supporti ortopedici per gli arti superiori ed a tutori coscia gamba piede per gli arti inferiori.
Cammino: il paziente necessita di tutori lunghi per gli arti inferiori, articolati all'anca ad una presa di bacino rigida, e di supporti ortopedici per entrambi gli arti superiori.
Se l'articolazione dell'anca consente tre gradi di libertà di movimento, il paziente per avanzare utilizza l'inclinazione omolaterale del tronco, la rotazione sull'arto in appoggio, l'elevazione controlaterale del bacino e la flessione dell'arto inferiore in sospensione. Lo schema della marcia è a quattro tempi.
Se l'articolazione dell'anca consente due gradi di libertà (flesso estensione ed adduzione-abduzione) come avviene con apparecchi tipo Sharrard, il paziente deve ruotare l'arto al suolo, non essendogli possibile ruotare l'anca all'interno del tutore per l'altezza della presa di bacino. Il cammino avviene a due tempi.
Se l'articolazione dell'anca consente un solo grado di libertà (flesso-estensione), il paziente deve adottare lo swing-through, cioè il pendolo sagittale, ottenuto dondolando attraverso le canadesi o le stampelle. Va considerato che questo schema di cammino, di grande efficacia per il poliomielitico, risulta estremamente difficile per il paziente spina bifida, che per la presenza della paralisi sensitiva (periferica e centrale) e dei disturbi dell’equilibrio non è in grado di elaborare parametri essenziali come posizione di partenza, velocità di avanzamento, inerzia trasmessa agli arti inferiori, stabilità dell'appoggio, distribuzione del peso, ecc. Il cammino viene esercitato esclusivamente intramoenia ed in definiti momenti o situazioni della giornata. Per i veri spostamenti il paziente deve far ricorso alla carrozzina ortopedica.
Compensi:
- anca:
* gli arti superiori attraverso i supporti ortopedici per l'estensione;
* l'inclinazione controlaterale del tronco e l'elevazione omolaterale del bacino per il sollevamento dell'arto inferiore che deve essere avanzato;
* la presa di bacino, che stabilizza gli arti inferiori rispetto al tronco, e l'eventuale aggiunta di tiranti elastici pro estensione-abduzione-extrarotazione.
- ginocchio: il vincolo meccanico della ortesi;
- tibiotarsica: il vincolo meccanico della ortesi, che deve consentire 20° di escursione attorno all'angolo retto.
Malformazioni primitive:
- lussazione congenita (mielodisplasica) dell'anca;
- instabilità del ginocchio;
- tibia torta;
- piede torto (più spesso equino varo supinato), piede ballante;
- dita accavallate.
Deformità secondarie:
* rachide: iperlordosi lombare e scoliosi evolutiva;
* anca: flessione-abduzione-extrarotazione
per l'influenza della forza di gravità in posizione prona e supina. Più rara rispetto al livello precedente la comparsa di una coxa valga-antiversa e di una lussazione acquisita, in genere entro la prima infanzia;
* ginocchio: flessione. Il deficit del quadricipite favorisce il progressivo aggravamento di questa deformità;
* piede: equinismo e supinazione, varismo e deformità scheletriche, piede ballante. Dita accavallate o affollate.
Queste deformità vengono favorite:
- dal ritardo della verticalizzazione;
- dal tempo trascorso in posizione supina;
- dal tempo trascorso in posizione seduta.
Va segnalata inoltre l’elevata ricorrenza di fratture patologiche degli arti inferiori, generalmente indolori, favorite dalla atrofia ossea e dalla osteoporosi.
Nel cammino la flessione dell'anca comporta un’accentuazione della lordosi lombare ed un maggior impegno antigravitario per gli arti superiori. La flessione del ginocchio può in parte compensare quella dell'anca, mentre in senso opposto va l'equinismo, che a sua volta necessiterebbe, per essere compensato, di un ginocchio recurvato e di un’anca iperestesa.
Ortesi statiche: come per i livelli precedenti.
Ortesi dinamiche:
tutore coscia gamba piede articolato ad una presa di bacino tanto più alta quanto più elevato è il livello spinale o quanto più inesperto è il paziente (pelvica per il livello L2-L3, lombo-pelvica per il livello L1-L2, toraco-lombo-pelvica per il livello T12-L1).
All'anca l'articolazione deve consentire tre gradi di libertà di movimento (flesso-estensione, adduzione-abduzione, rotazione interna - rotazione esterna).
Una seconda articolazione, a caduta di anello posta al di sopra della prima, consente al paziente di passare in posizione seduta. L'articolazione a tre gradi di libertà va allineata poco al di sopra della linea intertrocanterica.
Il ginocchio deve essere fissato in estensione, o in semiflessione se è presente una limitazione articolare in flessione dell'anca. In un primo periodo, il tutore può anche non prevedere l'articolazione del ginocchio.
La tibiotarsica deve consentire 15° - 20° di movimento attorno all'angolo retto, se il ginocchio è esteso, verso la flessione dorsale se il ginocchio viene fissato in semiflessione. E’ molto importante l’equilibratura del tutore, che deve consentire al paziente di mantenere la stazione eretta senza appoggiarsi con le mani.
Le ortesi dinamiche consentono al paziente di raggiungere un’autonomia di spostamento intramoenia. La velocità di spostamento resta tuttavia molto modesta e per questo è necessario dotare molto presto il paziente di un’idonea carrozzina ortopedica, per rendergli possibili spostamenti autonomi anche al di fuori dell'ambiente domestico, per distanze più grandi ed a maggior velocità.

LIVELLO L1-L2

Paralisi motoria: risultano parzialmente compromessi i flessori dell'anca sia superficiali (L2-L3-L4) che profondi (L1-L2-L3-L4), mentre è ancora parzialmente conservata la capacità di elevare il bacino attraverso la contrazione del quadrato dei lombi (T12-L1-L2-L3).
Paralisi sensitiva: la sensibilità è conservata sulla superficie ventrale della radice delle cosce.
Stazione eretta: per poter stare in piedi, il paziente ha bisogno di un’ortesi che vincoli contemporaneamente tutte le articolazioni portanti dell'arto inferiore (tutore coscia gamba piede articolato ad una presa di bacino lombo pelvica) e di supporti ortopedici per entrambi gli arti superiori (stampelle, canadesi, quadripodi, bastoni).
Cammino: pur essendo ancora possibile sfruttare lo schema di inclinazione laterale del tronco e di elevazione controlaterale del bacino (pendolo frontale), la perdita dei flessori rende troppo corto il passo, nonostante la possibilità di ruotare sull'anca dell'arto in appoggio attraverso l’articolazione a tre gradi di libertà di movimento. In questa direzione il rendimento del tutore può essere migliorato se confezionato con un maggior grado di abduzione (effetto compasso).
Con un’articolazione a due gradi di libertà (flesso-estensione, adduzione-abduzione), gli arti inferiori possono ancora avanzare singolarmente. Il sollevamento dell'arto avviene per opera del pendolo frontale (inclinazione laterale del tronco ed elevazione controlaterale del bacino), e l'avanzamento per opera dei flessori e del peso del segmento, attraverso un pendolo sagittale creato al momento del suo sollevamento dalla posizione più avanzata conquistata nello spazio dal bacino rispetto al piede.
Anziché lo schema inclinazione-rotazione-flessione, il paziente utilizzerà però con maggior probabilità lo schema swing-to, cioè un semipendolo sagittale di entrambi gli arti inferiori che vengono avanzati contemporaneamente fino alla linea che unisce virtualmente l'appoggio al suolo dei supporti ortopedici per gli arti superiori. Con questo schema, è sufficiente all'anca un solo grado di libertà di movimento (flesso estensione). Il paziente deve essere però in grado di sollevarsi di peso sugli arti superiori ed i supporti ortopedici devono offrirgli per questo una sufficiente stabilità e resistenza.
In tutti i casi il ginocchio deve essere bloccato, mentre alla tibiotarsica possono essere consentiti 20° gradi di flesso estensione intorno all'angolo retto, oppure l’effetto dell'articolazione può essere sostituito da una suola a dondolo (o all'olandese). Il cammino avviene esclusivamente intramoenia e per limitati periodi della giornata. Nelle altre situazioni il paziente fa ricorso alla carrozzina ortopedica.
Compensi:
- anca:
* gli arti superiori per l'estensione attraverso i supporti ortopedici;
* il peso del tronco per il pendolo frontale;
* il peso dell'arto inferiore per il pendolo
sagittale;
* la presa di bacino lombo pelvica per stabilizzare gli arti inferiori rispetto al tronco;
- ginocchio e tibiotarsica: come per L2-L3.
Malformazioni primitive: come per L2-L3.
Deformità secondarie:
A livello dell’anca compare l’instabilità articolare, mentre si riduce ulteriormente il rischio di lussazione secondaria. Per la compromissione dei flessori, diviene meno frequente l’instaurarsi di una limitazione articolare in flessione. L’accentuazione della lordosi lombare, che può compensare una sottostante antiversione del bacino, appare meno frequente e può essere presente al contrario una cifosi lombare, a volte ingravescente. E’ sempre molto elevato il rischio di scoliosi evolutiva. Per effetto della forza di gravità, gli arti inferiori giacciono in flessione extrarotazione all’anca, con un certo grado di flessione alle ginocchia ed equinismo ai piedi (posizione a batrace o rana). Se non trattata, col tempo la deformità in flessione può aumentare fino al punto in cui gli arti giacciono in abduzione ad angolo retto ed in flessione ad angolo retto a livello delle ginocchia. Diviene sempre maggiore la frequenza delle fratture spontanee degli arti inferiori.
Per il ginocchio e per il piede vale quanto già considerato per il livello L2-L3.
Ortesi statiche: come per L2-L3.
Ortesi dinamiche: come per L2-L3, ma con possibilità di sostituire l'articolazione tibiotarsica con una suola a dondolo, nel caso in cui la rigidità del piede non consenta movimenti di flesso estensione.
Nei pazienti che non presentano gravi deformità o forti asimmetrie e che possiedono una buona tolleranza percettiva, specie per lo sbilanciamento verso dietro, possono essere impiegati tutori reciprocanti tipo RGO e ARGO, a trasmissione selettiva del movimento di flesso estensione delle cosce, o tipo R2GO, a trasmissione combinata della flessione-extrarotazione della coscia per l’arto in sospensione e dell’estensione della coscia-intrarotazione del bacino per quello in carico. Lo schema di impiego del tutore reciprocante prevede l’estensione e l’inclinazione omolaterale del tronco sull’arto in appoggio, mentre la flessione dell’arto in sospensione viene realizzata meccanicamente. Il cammino con tutori tipo RGO o ARGO ricorda da vicino il "passo dell’oca" delle parate militari, mentre con il tutore R2GO, per effetto della rotazione reciproca fra bacino ed arti inferiori, lo schema del passo risulta molto più naturale.

LIVELLO T12- L1

Paralisi motoria: l'insufficienza del quadrato dei lombi (T12-L1-L2-L3) diviene marcata ed il paziente perde la capacità di elevare il bacino.
Paralisi sensitiva: l’anestesia interessa l'intero arto inferiore.
Stazione eretta: come per L1-L2, ma con la presa di bacino prolungata fino al livello toracico.
Stazione seduta: l’instabilità del tronco sul bacino può comportare la necessità di un corsetto lombare univalva avvolgente che consenta al paziente di liberare gli arti superiori dai compiti posturali e di prevenire e contenere la scoliosi posturale. In relazione all’assetto del torace possono comparire problemi respiratori.
Cammino: lo schema di elezione è lo swing-to, cioè il semipendolo sagittale di uno o di entrambi gli arti inferiori fino alla linea che unisce a terra i supporti ortopedici per gli arti superiori. All'anca l'articolazione dovrà consentire 1-2 gradi di libertà di movimento, a seconda che l'avanzamento degli arti inferiori sia simultaneo o alternato. A questo livello lesionale la capacità di realizzare un cammino reale rimane comunque modesta e limitata nel tempo. Il paziente deve fare un uso continuativo della carrozzina ortopedica.
Compensi:
- anca:
* gli arti superiori attraverso i supporti ortopedici;
* il peso degli arti inferiori attraverso il pendolo sagittale;
* la presa di bacino toraco-lombo-pelvica;
- ginocchio e tibiotarsica: come per L2-L3.
Malformazioni primitive: come per L2-L3.
Deformità secondarie: accanto alle deformità degli arti inferiori come per L1-L2 (anche in leggera flessione e rotazione esterna, ginocchia leggermente flesse e piedi modestamente equini), acquistano importanza la cifosi lombare o dorsolombare e la scoliosi posturale, dovute all'insufficiente stabilità del tronco rispetto al bacino. Molto rara l’iperlordosi lombare per cedimento della muscolatura addominale e poco comune la scoliosi evolutiva lesionale, purché si adottino opportuni provvedimenti di sostegno posturale. Divengono sempre più frequenti le fratture patologiche degli arti inferiori.
Le deformità secondarie tendono ad aggravarsi specie nella terza infanzia e nell’adolescenza per anomalie di crescita vertebrale.
Ortesi statiche: come per L2-L3
Ortesi dinamiche: tutori coscia gamba piede articolati ad un fianchino toracopelvico a tre, due o un sol grado di libertà (tipo Parawalker).
Per T12-L1 e per tutti i livelli toracici superiori è possibile conquistare la stazione eretta ed una forma di locomozione verticale intramoenia, senza impiego degli arti superiori, attraverso apparecchi a piattaforma come lo Swivel Walker ed il Parapodium. Per avanzare il paziente deve inclinarsi sul fianco e ruotare il capo ed il cingolo scapolare sul cingolo pelvico, mentre bacino ed arti inferiori restano rigidamente vincolati alla struttura. Mentre lo Swivel Walker è dotato di due pedane indipendenti che simulano l’avanzamento dei piedi, il Parapodium sfrutta una pedana ovalare su cui piroettare. La velocità di avanzamento è migliore per il Parapodium che consente anche il passaggio in posizione seduta ma esige maggior forza e maggior sbilanciamento. Anche nei pazienti più abili ed allenati la velocità di crociera resta comunque molto ridotta. In compenso il paziente può sfruttare l’ortesi come tavolo stabilizzatore avendo le mani libere dai compiti di sostegno imposti dalle altre forme di tutorizzazione. Per utilizzare questi grandi apparecchi occorre però possedere molto equilibrio ed una buona tolleranza percettiva dello spazio, condizioni non sempre possibili nella spina bifida per la presenza della malformazione di Arnold Chiari. Questi tutori vengono in genere assemblati su misura, ma in presenza di deformità è bene far confezionare su calco la presa toracica e le docce gamba piede ed aggiungere al tutore una mutandina di sospensione per il bacino.

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