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A scrivere questa lettera è Giorgio Genta, a nome dell’ABC Liguria e dell’Associazione Dopodomani Onlus, per riflettere e far riflettere sul problema sempre aperto del Dopo di Noi, preoccupazione costante dei genitori con figli disabili, ed il più difficile da affrontare e risolvere.


Da molti anni le nostre Associazioni si occupano delle problematiche della disabilità grave.
Esse sono nate sotto l’impulso diretto delle “famiglie con disabilità” che avevano al loro interno un bambino cerebroleso.
Poi i bambini sono cresciuti e l’interesse delle nostre famiglie si è lentamente spostato dalla riabilitazione precoce ed intensiva ad altre tematiche: l’integrazione scolastica “di qualità” anche per i più gravi, la legislazione a favore dell’handicap, l’associazionismo “federato” per contare di più ed esprimere le esigenze  dell’intero mondo della disabilità.
E, naturalmente, l’assistenza.

Per definizione il disabile grave è colui che non è in grado di svolgere autonomamente gli atti quotidiani necessari al mantenimento in vita e quindi necessita di assistenza per svolgerli, cioè per “restare vivo”.
Quindi l’assistenza si configura come elemento primario dell’esistenza del disabile grave e  non solo la sua sopravvivenza dipende dall’assistenza che riceve, ma la qualità della sua vita è strettamente legata alla qualità e alla completezza dell’assistenza.
La gravosità del “carico assistenziale” - un brutto termine, che però esprime bene il “peso” dell’assistenza sulle spalle della famiglia - dipende certamente dalla gravità dell’handicap, dalla composizione e dalla disponibilità del nucleo familiare, dall’età e quindi dal peso e dalle esigenze esistenziali personali.
Spesso dipende anche da fattori esterni alla famiglia: volontari, strutture di assistenza domiciliare, reti di auto-aiuto tra le famiglie.

Purtroppo, gli aiuti esterni permangono generalmente minimi, ed il peso preponderante dell’assistenza grava sui genitori ed eventualmente sugli altri familiari.
Da alcuni anni, grazie a progetti di assistenza domiciliare portati avanti dalle famiglie in collaborazione con gli Enti Locali e le loro emanazioni, una certa percentuale delle nostre famiglie usufruisce di qualche forma di assistenza domiciliare, che di solito si configura in 2-3-4 ore al giorno, nei soli giorni lavorativi, di prestazione da parte di personale con qualifica varia ma rapportabile generalmente ad operatore socio-sanitario dipendente da cooperative.

Quindi, nel migliore dei casi, potremmo calcolare che 1/6 dell’assistenza, e non tutti i giorni, viene svolta da personale extrafamiliare, senza tuttavia considerare che molti dei nostri bambini, ragazzi, giovani adulti richiedono spesso assistenza congiunta da parte di due o tre persone.
Diciamo quindi che, nel migliore dei casi, la famiglia assiste “direttamente” per i 9/10 del tempo, sopporta i 9/10 del peso e paga i 9/10 del costo!
Se giustamente pensiamo che questo sia troppo e che la “famiglia con disabilità” non dovrebbe annientarsi totalmente (anche se quasi sempre lo fa con grande amore) nella “fatica assistenziale”, ma dovrebbe poter pensare anche a tirare avanti economicamente (a proposito: quando mai andranno in porto i mille volte promessi pre-pensionamenti dei genitori di disabili gravi?) e a restare sana di mente - cioè a riuscire a superare non troppo male le mille depressioni esistenziali che incombono su di lei -, senza naturalmente parlare di svaghi e lussi vari, cosa pensate potrà mai essere la vita del disabile grave quando la famiglia non ci sarà più o dovrà essere essa stessa oggetto di assistenza?

Dobbiamo allora rassegnarci alla  rapida fine (chiamiamola pure con il termine esatto: morte) di quel disabile grave che, amorevolmente assistito “in famiglia”, aveva sviluppato la sua intelligenza e la sua personalità, aveva imparato a leggere e ad interagire con il mondo esterno, attraverso particolari tecniche, aveva frequentato la scuola e talvolta non solo quella dell’obbligo, e, sopravvissuto ad incidenti e  malattie, era pervenuto alla maggior età?
Perché ci sono forse dei dubbi sul fatto che un disabile grave “internato” in una struttura “chiusa”, e confinato a letto o lasciato quattro  ore di seguito su una carrozzella con una vita di relazione inesistente fortunatamente non vive a lungo, perché la sua non è più vita.
Perché oggi appare chiaro che la sua aspettativa di vita non si discosta da quella delle altre persone, purchè correttamente assistito.

Il problema è come riprodurre in un “Dopo di Noi” (unica struttura a dimensione umana tra quelle residenziali) una forma di assistenza “a carattere familiare”.
La prima e forse unica possibilità è la più semplice: integrare nella struttura la famiglia o la parte di essa sopravvissuta.
Sia la famiglia naturale che quella allargata.
Certo, ci sono difficoltà di carattere normativo, ma crediamo che queste possano essere superate riconoscendo al/ai familiari residui uno status di “volontari”, con il duplice scopo di migliorare la qualità dell’assistenza e ridurne i costi.
Quindi, un “dopo-di-noi” ove le famiglie concorrono non solo finanziariamente (se e come possono) ma anche operativamente, riducendo o eliminando il trauma del cambiamento.
Naturalmente i “genitori superstiti” non rifiuteranno certo aiuto ai figli di quelli che non ci sono più, e comunque vigileranno sulla qualità dell’assistenza prestata nella struttura: quello che si chiama un comitato di controllo di gestione.
Sono forse i primi passi di un nuovo sistema assistenziale “oltre la famiglia”, il cui carico economico dovrà essere ripartito sul territorio che usufruisce del servizio e sulle famiglie stesse che ne faranno parte.

Giorgio Genta
ABC Federazione Italiana e Associazione Dopodomani Onlus


Associazione Bambini Cerebrolesi - Liguria e Associazione Dopodomani Onlus

via Amico 15 
17025 Loano (SV)
Cell. 349 6205015
E-mail abclig@tin.it  


Per saperne di più consulta il nostro Speciale Dopo di Noi

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[Vera Zappalà]

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