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C'è una fascia di detenuti, che non sono seguiti né dai SerT né dai Centri di Salute Mentale delle Ulss e che stanno scontando la fase finale di carcerazione, per i quali un percorso di inserimento lavorativo e sociale, in particolare attraverso le misure alternative al carcere, può rendere effettivo un recupero a una restituzione alla "normalità", con benefici sia economici che di sicurezza per tutta la società.
Lo dimostrano i risultati del progetto "Il Lembo del Mantello" che la Caritas diocesana vicentina ha avviato attraverso l'Associazione Diakonia Onlus e che ha scommesso su percorsi di reinserimento sociale e lavorativo per 24 detenuti, grazie ad un lavoro sinergico che ha coinvolto, oltre alla Caritas, le istituzioni penitenziarie, gli operatori, le cooperative sociali, alcune associazioni di categoria e il volontariato. Avviato nel maggio 2005, il progetto finirà nel giugno 2008.

"Il Lembo del Mantello" si è rivolto anzitutto ai vicentini reclusi sia nella Casa Circondariale di Vicenza che nei due istituti penitenziari padovani (Casa circondariale e Istituto Penale), che non erano in uno stato di tossicodipendenza conclamata e che non erano affetti da patologie psichiatriche debilitanti.
Per entrambe queste categorie infatti intervengono già i servizi sociali preposti ed è possibile l'accoglienza in strutture idonee.
L'attenzione si è rivolta quindi ai detenuti ed ex detenuti che non possono contare su sostegni familiari; soggetti che, da un punto di vista dei costi, sarebbero stati esclusivamente a carico dei servizi sociali dei Comuni per eventuali percorsi socio-lavorativi idonei alla loro inclusione sociale.

"Di fatto - riflette il direttore della Caritas diocesana, don Giovanni Sandonà - se quando una persona entra in carcere gli si chiudono le porte alle spalle, quando esce le si chiudono le porte in faccia. Il carcere, così com'è, più che un'istituzione penale e riabilitante è un cronicario dell'esclusione sociale. In attesa di interventi amministrativi adeguati, abbiamo tentato, dal maggio 2005, di irrobustire il ruolo riabilitante favorendo l'applicazione dell'ampio spettro di misure alternative al carcere già presenti nel nostro sistema penitenziario. Infatti non va mai dimenticato che il senso costituzionale della pena è la riabilitazione, altrimenti la pena stessa diverrebbe mera vendetta".

Il progetto, sperimentale, nella prima fase ha portato gli operatori a svolgere in carcere ben 320 colloqui, per un totale di 81 persone contattate, segnalate anche dall'équipe trattamentale (che, come stabilito dall'Ordinamento Penitenziario, ha il compito di individualizzare il trattamento e che è formata dal direttore dell'istituto, dall'educatore, dall'assistente sociale, e da tutti gli altri professionisti deputati a questo compito).
La seconda fase, dopo un primo periodo di "osservazione", è consistita in un momento di formazione professionale e di valutazione dell'attitudine al lavoro, con stage nelle cooperative sociali del consorzio Prisma, tra cui la "Saldo&Mecc" che opera all'interno della Casa Circondariale di Vicenza, e anche in aziende esterne individuate con il contributo dell'Associazione Artigiani e l'Associazione Piccole e Medie Industrie della Provincia di Vicenza. Dopo la conclusione positiva di questo periodo, per 24 persone è stato avviato l'inserimento lavorativo vero e proprio. E per 20 di queste che hanno potuto accedere alle misure alternative al carcere o ex detenuti, la residenzialità esterna in un luogo dedicato, mentre le altre 4 hanno avuto accesso al percorso da esterni. L'accoglienza residenziale ha garantito un primo punto di riferimento abitativo con presenza diurna e serale di un operatore e l'accompagnamento di volontari che hanno aiutato le persone a ricostruire un tessuto relazionale sano. L'ultima fase del percorso consiste infine in un passaggio ad appartamenti di "sgancio" e nel recupero di una piena autonomia.
"Nonostante questi due anni siano stati segnati da due eventi che hanno abbassato il numero possibile di presenze nel progetto, ossia l'indulto e la ristrutturazione del carcere di Vicenza, abbiamo intercettato un bisogno che non trovava risposte istituzionali" spiega la responsabile del progetto, Samuela De Boni.

"Il progetto conferma quindi quanto affermato la scorsa settimana dal Capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Ettore Ferrara, sulla base di una ricerca dell'Università di Torino, ossia che mentre chi rimane dietro alle sbarre torna a delinquere, una volta uscito, nel 60 per cento dei casi, questa percentuale scende al 20 per cento fra chi sconta la pena con misure differenti dal carcere" sottolinea Sandonà, che ricorda anche il valore economico di questo progetto sperimentale, "il costo complessivo è attorno ai 40 euro al giorno per persona e varia in base al numero di presenze medie, mentre invece i costi per il mantenimento di un detenuto in carcere sono molto più alti. Quindi, investire in questi percorsi presenterebbe un triplice vantaggio: aumentare la sicurezza sociale, diminuire le spese del sistema carcerario e non da ultimo credere che la dignità e il futuro possibile per ogni essere umano sono realmente percorribili se di fatto trovano concrete iniziative di inclusione sociale".

In vista della fine del triennio sperimentale, la Caritas bussa alle porte delle istituzioni perché si possa proseguire il progetto, sostenuto fino a giugno 2008 dalla Fondazione Cariverona con la partecipazione al 30 per cento dalla Caritas vicentina stessa.
Ogni "sevizio-segno" della Caritas nasce infatti con l'intento di "intercettare" un bisogno, di "segnare" percorsi possibili di risposta e di maturare una "visibilità" che possa diventare percorso istituzionale, ovvero assunto normalmente dalla società civile nelle sue diverse articolazioni amministrative. 

INFO:

Il sito della Caritas diocesana di Vicenza

Vedi anche la presentazione dell'associazione Diakonia onlus  

Leggi anche un altro esempio di lavoro in carcere


[Redazione]

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