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tiro con l'arco ciechi"Avevo perso il senso dello spazio e praticando il tiro arco ho potuto "sentire" l'ambiente che mi circonda ed ho imparato a rapportarmi con lui"

In questi giorni in cui lo sport, grazie alle Olimpiadi e le prossime Paralimpiadi, è sulla ribalta di tutti i media internazionali, e le imprese di questi fantastici atleti ci sembrano qualcosa di stra-ordinario, emerge con maggior più evidenza come lo sport possa essere motivo di impegno, soddisfazioni, riscatto.

Quella che vi proponiamo oggi è la testimonianza di Renata Sorba, donna cieca che ha trovato nello pratica del tiro con l'arco non solo uno sport, ma anche una sorta di "terapia" in grado di farle riacquistare la voglia di vivere e di stare bene. Di seguito, la sua lettera.



Ho 47 anni e sono affetta da sindrome di Usher di tipo 2. Soffro di ipoacusia bilaterale dalla nascita, a 30 anni si è manifestata anche la retinite pigmentosa.

Potete capire lo scoramento che mi colse quando il restringersi del campo visivo ed un precoce calo della vista mi obbligarono ad abbandonare gli sport che più ho amato: lo sci ed il nuoto. Per me, che fin da giovane avevo praticato basket, pallavolo, nuoto e sci fu un colpo durissimo. Non praticai più alcun sport sino a 7 anni fa, quando, una sera, accompagnai un amico, non vedente, ad un allenamento di tiro con l'arco.

Il primo impatto non fu favorevole, in quanto il mio residuo visivo emotivamente mi impediva di accettare l'ausilio della pedana e l'imposizione della mascherina , come da regolamento, anche perché sancivano la mia cecità , che non avevo ancora accettato.
Dopo un breve perio do, raggiunsi la cecità totale. L'accettazione di questa mia condizione risvegliò la voglia di praticare uno sport e, avendo superato le motivazioni che mi avevano reso antipatica questa disciplina, proprio ad essa mi rivolsi.
La cecità mi aveva obbligata ad acuire altri sensi come il tatto e l'udito, in un primo momento la poca sensibilità del mio udito non mi dava sicurezza, ma ho superato anche questo problema.
Avevo perso il senso dello spazio e praticando il tiro arco ho potuto "sentire" l'ambiente che mi circonda ed ho imparato a rapportarmi con lui. Inoltre, questa disciplina obbliga a mantenere una postura retta. Ciò mi ha permesso di annullare il dondolio classico dei non vedenti.

La pratica dell'arco richiede il massimo della concentrazione e la conoscenza del proprio corpo. Per poter ottenere buoni risultati la nostra mente deve essere libera da condizionamenti esterni ed emotivi. È necessario essere concentrati ed avere il totale controllo del nostro fisico.

Questo esercizio continuo mi ha consentito di ristabilire l'equilibrio tra testa e corpo e vorrei chiudere con una metafora: ogni volta che incocco una freccia nell'arco e punto sul paglione, ottengo un risultato. Poi, prima di passare alla freccia successiva, devo azzerare tutto, ricominciare da capo e mirare ad un nuovo obiettivo.
In questi ultimi quindici anni questo esercizio continuo, necessario per poter compiere gli atti quotidiani della vita, mi ha consentito di raggiungere l'attuale equilibrio e la mia serenità .

Renata Sorba


La Tecnica di tiro per i non vedenti
Occorre tenere presente che un non vedente non può vedere il bersaglio; allo
scopo di poter mirare il bersaglio,vengono adottate intelaiature definite pedane,
in cui l'arciere prende posizione.

I suoi punti di riferimento sono :

- Le staffe di contenimento dei piedi
- Un puntale tattile che gli indica la direzione e l'altezza del centro bersaglio
- La capacità di mantenere la posizione fisica delle spalle e della schiena

 

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