Menu

Tipografia

Una nota del MIUR riguardante i nuovi Piani Triennali dell’Offerta Formativa (PTOF) contiene indicazioni sul ricorso a gruppi di livello che suscitano molte perplessità

 

L’11 dicembre scorso il MIUR ha emanato la nota n. 2805, con cui vengono fornite alle scuole indicazioni sulla definizione dei Piani Triennali dell’Offerta Formativa (PTOF), introdotti dalla L. n. 107/15. Un importante passaggio della nota, dedicato alla flessibilità didattica ed organizzativa praticabile nelle scuole autonome, desta però non poche perplessità. In esso si afferma che l’adozione di modalità che prevedano di poter lavorare su classi aperte e gruppi di livello potrebbe essere un efficace strumento per l'attuazione di una didattica individualizzata e personalizzata; si pensi alle esperienze, già ampiamente sperimentate, di recupero e/o potenziamento in orario curriculare e/o extracurriculare, basate anche su modalità peer-to-peer (gruppi di lavoro con tutoraggio "interno" esercitato dagli studenti stessi); alla didattica fondata sull'apprendimento cooperativo; alla didattica laboratoriale; alle metodologie di problem solving.

Naturalmente, appare immediatamente evidente che le indicazioni metodologiche e le prassi di lavoro suggerite indicano vie nelle quali al centro è la collaborazione, la cooperazione ed il tutoraggio tra pari, in cui, all’interno dei gruppi, sono proprio le abilità e le competenze eterogenee degli alunni a consentire l’apporto costruttivo di ciascuno, la partecipazione inclusiva diffusa e, con essa, il reale esercizio del peer tutoring. Se, al contrario, gli alunni vengono divisi in gruppi di più capaci e meno capaci, il criterio sotteso a tale organizzazione è la suddivisione in gruppi omogenei, cui, evidentemente, affidare compiti ed attività più o meno complesse, a seconda del livello di apprendimento che dovrebbero rappresentare. E’ una via che separa quest’ultima, che classifica; in essa termini come cooperative learning o tutoraggio tra pari appaiono come totalmente destituiti di significato e tolgono cittadinanza ad ogni progetto di inclusione.


Non solo. Un’organizzazione flessibile siffatta non fa che riproporre le evidenti logiche proprie delle classi differenziali, realizzate nel terzo millennio in microambienti, non più in classi ma in gruppi differenziali, nei quali torna, grossolanamente dissimulata, la realtà triste e poco lusinghiera della scuola di un passato che pareva superato.


Ci auguriamo che l’estensore della nota abbia avuto intenzioni più felici rispetto alla nostra lettura lineare, auspichiamo voglia darci notizia di un  inciampo  inelegante del lessico. Se a questo però aggiungiamo il rinnovato interesse  verso le scuole speciali, già rilevato e l’ormai dichiarata volontà di formare personale docente in direzione di marcati specialismi, non possiamo non constatare il rischio di un processo involutivo, che potrebbe mettere in seria discussione tutto il lavoro svolto negli ultimi quarant’anni in direzione dei processi di integrazione.


Noi, con la medesima convinzione di sempre, non possiamo che ribadire ancora una volta che nulla che separi potrà mai unire. Nulla che escluda potrà mai includere.

APPROFONDIMENTI

Scuola della separazione o dell’inclusione?

In disabili.com
No alle scuole speciali

Classi differenziali: no, grazie

Tina Naccarato

 

Tieniti aggiornato. Iscriviti alla Newsletter!

Autorizzo al trattamento dei dati come da Privacy Policy