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bambino di spalle con lo zaino Ogni anno, alla fine delle lezioni, migliaia di docenti precari devono salutare alunni e colleghi. Uno strappo che si ripete ogni anno

Anche quest'anno è suonata l'ultima campanella e tanti ragazzi in maniche corte hanno varcato il cancello con l'urlo liberatorio "è finita!". Qualcuno è ancora impegnato con gli esami ma, più spesso, nelle aule fino ad un momento prima allegre e rumorose è calato il silenzio. In questi giorni si aggirano in esse impavidi collaboratori che, sfidando il caldo, sono alle prese con le pulizie di fine anno. Altrettanti docenti si ritrovano ad ultimare documenti, registri, relazioni, a mettere a posto cartelloni, striscioni o a sistemare libri e materiali usati durante l'anno.

E' l'atmosfera irreale che si vive a scuola in giugno, quando non ci sono più gli alunni. Ricorda quella di una piazza dopo la fine di un lungo concerto: c'è chi va via, chi mette a posto, chi continua a canticchiare le canzoni appena ascoltate. Come gli insegnanti, che continuano a parlare dei loro alunni. Ogni anno è così ed ogni volta si ripete una trama, emotivamente forte, a tratti serena, accompagnata da qualche risata, più spesso da altri difficili saluti. Perché tra i docenti ci sono anche i precari, che hanno condiviso ogni emozione dell'anno scolastico ma che in punta di piedi, così come sono giunti, dovranno andare via. Partecipano come tutti gli altri ai lavori per la chiusura dell'anno scolastico, preparano insieme agli altri progetti o portano idee per il prossimo anno, consapevoli che molto probabilmente saranno altrove, se avranno la fortuna di lavorare ancora.

Tra di essi, particolarmente pensierosi appaiono i docenti di sostegno, che si affrettano ad ultimare relazioni e verbali, in cui provano a lasciare tracce da seguire, spunti, suggerimenti per chi li sostituirà. Hanno l'aria triste, rassegnata. Emotivamente coinvolti, impossibilitati da relazioni forti a mantenere nel tempo il distacco richiesto da una professione, vivono un groviglio di sentimenti che pure ogni anno devono provare, mai preparati abbastanza dall'esperienza al costante distacco obbligato.

E i ricordi degli anni passati tornano a mostrare la consuetudine, per rendere accettabile l'inevitabile, come quella volta in cui un insegnante di sostegno portò il computer, la stampante ed altri ausili personali di un alunno nella scuola in cui avrebbe continuato gli studi, imballando tutto, scrivendo vari biglietti per i suoi futuri insegnanti, in cui spiegava come usarli, dove trovare le applicazioni, le cartelle, i file. Li caricò sulla propria auto, li portò nell'altra scuola, poi andò via. In punta di piedi. Il suo lavoro era finito. Non serviva più. Tanti ricordi simili affollano le menti, tanti saluti forzati, relazioni spezzate, progetti frammentati. Transumanze, cambiamenti, ogni cosa costruita si dissolve.

LA FATICA DI SISIFO - Come nell'antico mito, il docente di sostegno precario durante l'anno costruisce daccapo, lavora cercando inclusione, ha al centro l'integrazione ma essa necessita di relazioni importanti: con la famiglia, con gli alunni della classe, con i colleghi curriculari. Mattone dopo mattone arriva in cima alla montagna. Ha solo in tempo di osservare dall'alto il lavoro svolto, il percorso in salita appena concluso. Ma è solo un attimo, un momento, uno sguardo. E tutto rotola di nuovo giù.

Passerà l'estate a ripercorrere la strada in senso inverso, a recuperare i pezzi, a metterli insieme, per affrontare una nuova  montagna, un nuovo anno. Altrove.
Tutto da rifare.



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Tina Naccarato

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