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Non è giusto auto-ghettizzarsi in spazi sicuri come i centri commerciali, solo perché le città non sono accessibili. Pretendiamo quello che ci spetta!

Centro commerciale, interno giorno
Un viavai di carrelli, persone, musi allungati dalle code e dalla noia, telefonini, acquisti di ogni natura.  In tutta onestà, i centri commerciali con la loro baraonda di musica pessima sparata nell'aria, i soliti negozi in franchising tutti uguali, l'immancabile fast food ed i bar dal caffè a tutti i gusti tranne quello del caffè a me vanno in uggia anche se ammetto che siano comodi. Fai shopping, spesa alimentare e quant'altro, barriere zero -o quasi-, accessibilità garantita -o quasi-.
Insomma, una spesa in ambiente protetto alla quale è molto semplice abituarsi.
Forse troppo semplice, un'abitudine che ha l'odore di una resa.

Mi guardo attorno: toh, un ragazzo con la carrozzina.
Toh, un altro, fra l'altro la sua quattro ruote è simile alla mia.
Una ragazza in carrozzina elettrica, un nonnino che spinge una nonnina, ancora un' altra ragazza con una sedia a rotelle supertecnologica.
Mi viene da chiedermi se non ci sia un evento in programma, ma non c'è nessun evento.
Lentamente apro gli occhi e mi rendo conto di ciò che già sospetto da quando ho iniziato ad utilizzare una sedia a rotelle: noi quattroruotati ci riduciamo tutti nei centri commerciali ed abbiamo abbandonato le città.
E' ovvio che accada una cosa del genere quando in città il parcheggio non è assicurato nonostante gli stalli, i marciapiedi sono un'utopia, le strade un incubo di buche, i negozi inaccessibili e magari ci si metta di contro anche la meteorologia.
Nei centri commerciali non piove e non fa freddo, non ci sono ostacoli, il posteggio è meno difficile da reperire e non ci sono rischi.

Avete mai sentito parlare di “Comfort zone” o zona di comfort? Wikipedia definisce la zona di comfort come “lo stato comportamentale entro cui una persona opera in una condizione di assenza di stress e ansia”  Quindi, l'esatto contrario di ciò che ci offre la città. La soluzione sembrerebbe in tasca: che ci andiamo a fare nelle città quando ci sono i centri commerciali ad accoglierci?
Una parola mi risuona nella mente ed ha una voce assordante: autoghettizzazione.
Nel nostro centro commerciale siamo comodi, conosciamo ciò che andiamo a trovare e non corriamo nessun pericolo. Sfugge però una variabile essenziale per l'esistenza di tutti, che è determinata dall' ignoto. La nostra vita senza ignoto si spegne, lo spirito di avventura si perde e con lui viene a decadere quell'entusiasmo necessario per non piombare in una routinaria tristezza.

Una negoziante mi confessò, il mese scorso: “eh, onestamente non ho tanti clienti in sedia a rotelle”. Anche nella palestra che frequento ci sono solo io. In molte strutture pubbliche non c'è traccia di chi usa una sedia a rotelle: eppure siamo tanti ed esistiamo.
Ci rinchiudiamo all'interno del nostro mondo sicuro perché siamo stanchi di sfide continue, perché non ne possiamo più di lottare persino per fare la spesa o andare al cinema, perché la nostra vita è già dannatamente difficile senza aggiungere altre spezie a questa indigesta pietanza.
Ma così facendo si perde completamente la libertà. E chi può darcela, se non noi stessi? Se non alziamo la voce noi, chi lo farà per noi? Vogliamo essere ascoltati? Iniziamo a parlare.

Riprendiamoci le città, sbattiamo le porte in faccia a chi non ce le apre, piantiamoci davanti ad ogni gradino e chiediamo, chiediamo, chiediamo ad alta voce finché tutti si renderanno conto che la città è un patrimonio che appartiene a tutti.

In disabili.com:

Io non posso entrare (ma il cane sì)

Vita in carrozzina e gli ostacoli “minori”


Lila Madrigali

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