Menu

Tipografia

carrozzina all'interno della palestraQuanto è importante saper motivare chi affronta un percorso di riabilitazione? Vi racconto il primo incontro con il mio fisioterapista, carismatico promotore della caccia alla motivazione

 

Chi ha fatto sport conosce bene la sensazione dell’essere motivato. Essere favoriti all’azione, al movimento, al raggiungimento di un risultato: se ci sentiamo spinti, ci arriviamo prima.
Stimolare è difficile. Essere un vero motivatore lo è ancora di più. Se sei troppo buono, le tue parole si spargono nel vento senza utilità alcuna. Se sei troppo cattivo o scivoli nell’aggressività ottieni il contrario di quello che vorresti: la persona che stai tentando di spingere avanti si abbatte, sentendosi inadeguato alla sfida, e si ferma (perché puoi perseguire l’obiettivo più importante del mondo, ma se ti senti ferire ti blocchi.)
Nella disciplina sportiva la figura dell’allenatore ricopre un ruolo cardine. Il suo prezioso compito non è soltanto costruito dal passaggio di una conoscenza che porta il pensiero a concretizzarsi in un movimento specifico, ma c’è un’importantissima parte di comunicazione che va a spronare il cuore dello sportivo mettendo alla prova il suo spirito, la sua resistenza psicologica, il suo attaccamento all’obiettivo.

 

Questo, io l’ho imparato stamattina incontrando il mio nuovo fisioterapista.
Che cosa delicata, la riabilitazione motoria! Si porta dietro un carico di dolore di molteplice natura affatto facile da gestire, ma che fa parte del “pacchetto” da fronteggiare per riuscire a migliorare.  Prima o poi, questo pacchetto viene recapitato fra le mani della persona diversamente abile che deve fare i conti con uno dei peggiori demoni: la paura del dolore e la conseguente, temuta sconfitta.

 

La mia prima reazione davanti alla chiamata alle armi è stata: “E ora?” condita da una serie di “Farà male? E se non ci riesco? E se il fisioterapista è un bruto sergente istruttore del Marines? E se si aspetta da me qualcosa che non posso dargli? E se non conosce la mia sindrome?
I timori da sconfiggere sono tanti.  In prima linea per me c’è l’agitazione data dal tocco professionale: una mano che si posa sul mio corpo, una pelle abituata a comprendere. Poi arriva l’ansia da prestazione, perché se non riesco a fare quello che indica il fisioterapista significa che non ce la posso fare ed io invece VOGLIO FARCELA, (se sono qui seduta in questa sala d’attesa, significa che non mi voglio arrendere.)

 

Viso allegro da cartone animato, piglio sereno ma deciso, Franco mi accoglie in palestra e la prima cosa che fa è guardarmi. Osserva la mia postura stile Torre di Pisa controllando il mio deambulatore, mi osserva, m’invita a sedermi e prima di fare qualunque altra cosa MI SORRIDE.  
Mentre saggia il mio corpo di zebra (Lila è affetta da Sindrome di Ehlers Danlos, e “zebra” è come usano definirsi le persone che ne sono colpite, ndr), Franco porta avanti una linea incredibilmente efficace di pressione e incoraggiamento, pressione e incoraggiamento in un ondeggiare perfetto e costante. Non m’illude ma mi premia con sguardi propositivi ed un tono di voce che spronerebbe il più pigro a dare il meglio di sé. Il suo viso s’illumina quanto il mio quando compio movimenti che neanche io pensavo di poter fare. Mi esalto come se mi stessi preparando per le Olimpiadi!

 

Quando a fine sessione ci salutiamo con la promessa di rivederci entro breve, io non sto più camminando. Volo. Da quando sono entrata in quella stanza non è cambiato assolutamente niente; non ho recuperato trofismo tramite formule magiche, non ho camminato in modo corretto, non sono diventata più forte. È cambiata la mia motivazione. Sono stata caricata da un’energia pura e potentissima che non mi ha illusa, ma semplicemente spinta un pelo oltre al “livello minimo di salvezza” che mi sono autoimposta.

Se tutti riuscissimo a sviluppare l’abilità di motivare l'altro anziché imporre la propria metrica di giudizio vivremmo una vita molto più facile, godendo l’uno dei risultati dell’altro ed avendo accanto persone davvero felici.
Il lavoro su me stessa sarà duro, doloroso, difficile, lungo e magari anche infruttuoso esattamente come lo era prima dell’arrivo di Franco, ma il mio spirito è alto… e si sa, gli spiriti alti compiono grandi cose.

 

In disabili.com:

 

La mia storia di disabile solare, perchè io non sono la mia disabilità


Esperto postura e terapia occupazionale
 
Lila Madrigali

 

Tieniti aggiornato. Iscriviti alla Newsletter!

Autorizzo al trattamento dei dati come da Privacy Policy