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La lettera aperta a Tito Boeri, Presidente INPS, dall’AIMA - Associazione Italiana Malati di Alzheimer

Lo scorso 21 settembre si è celebrata la Giornata Mondiale Alzheimer. L’appuntamento è stato utile per riportare l’attenzione dell’opinione pubblica su questa, che è una vera e propria emergenza: la demenza colpisce infatti 47 milioni di persone in tutto il mondo, e la cifra è destinata a triplicarsi entro il 2050.

Il Rapporto Mondiale Alzheimer 2016 intitolato “Migliorare l’assistenza sanitaria ai soggetti con demenza”- redatto dai ricercatori del King’s College London e dalla London School of Economics and Political Science (LSE) – rivela che la maggior parte delle persone con demenza deve ancora ricevere una diagnosi, oltre a un’assistenza sanitaria completa e continua.

Nell’occasione della Giornata dedicata a questa patologia, l’AIMA (Associazione Italiana Malati di Alzheimer) ha deciso di accendere l’attenzione in particolare su un aspetto centrale della malattia: il peso assistenziale che essa comporta per tutte le famiglie nelle quali sia presente un malato. Nel fare ciò, l’AIMA chiede meno parole e più fatti concreti, scrivendo direttamente al Presidente dell’INPS, Tito Boeri, al quale fa una richiesta chiara. Snellire e rendere meno onerose le procedure di ricorso per l’indennità di accompagnamento.  Partendo dal presupposto che la valutazione della perdita di autonomia causata dal deterioramento cognitivo ha larghi margini di discrezionalità, e che la erogazione o meno dell’indennità di accompagnamento per una famiglia con un componente colpito da Alzheimer può fare la differenza in modo sostanziale, l’Associazione rivolge quindi questa richiesta al Presidente dell’INPS:

Gentile prof. Boeri,
abbiamo deciso di scriverle in occasione della Giornata Mondiale Alzheimer perché non apprezziamo le celebrazioni rituali e scontate, e perché i nostri 31 anni di attività ci costringono ad una visione lucida e realistica della condizione attuale dei malati di demenza in Italia.

Certo, siamo consapevoli che nel nostro Paese ci sono realtà virtuose regionali e locali, istituzionali e associative, che ben funzionano e ben tutelano malati e familiari. Ma converrà con noi che proprio queste realtà positive rischiano di essere addirittura discriminanti nei confronti di tutti quei malati (la maggior parte) che non possono avervi accesso.
Sono talmente tali e tanti (ancora oggi!) i diritti dei malati e dei familiari che non trovano risposta che le celebrazioni trionfalistiche, le vetrine, le autopromozioni di questo periodo (almeno quelle che non corrispondono ad una reale “presa in carico”) non fanno altro che evidenziare il vuoto di regia e strategia nazionale.

Cosa potevamo fare? Unirci al coro? Passare sotto silenzio la Giornata Mondiale? AIMA da sempre è accanto alle famiglie e fa quanto è nelle sue possibilità per la tutela dei loro diritti. E poi, Presidente, l'11 settembre scorso lei ha rilasciato un'intervista al Fatto Quotidiano nella quale ha parlato, tra l’altro, dell'equità alla quale l'INPS deve tendere.
E' stato lo spunto che ci serviva. Abbiamo deciso di invitarla a riflettere sulla procedura di ricorso che l’Istituto che lei presiede ha messo in campo nel caso in cui un paziente (o per lui la famiglia) si veda negata l'indennità di accompagnamento.
Le dobbiamo segnalare che la valutazione della perdita di autonomia causata dal deterioramento cognitivo ha, da sempre, larghi margini di discrezionalità, legati alla bassa “sensibilità” delle misurazioni in uso, alla scarsa “attenzione” delle commissioni e, purtroppo, al pregiudizio dal quale partono talvolta le procedure di accertamento dell'invalidità (la giusta lotta ai falsi invalidi, penalizza spesso gli invalidi veri …).

Se viene negata l'indennità di accompagnamento, e la famiglia per il paziente è ben certa di averne diritto, dovrà necessariamente assumere un legale e fare opposizione per via giuridica alla decisione, con un costo talmente elevato, tanto economico che di tempo, da mettere in discussione l’equità della intera procedura e, soprattutto, del suo esito.

Per un beneficio di poco più di 500 euro al mese, che nella maggior parte dei casi aiuta la famiglia nel pagamento della badante, bisogna spendere 8/10 volte tanto, solo per tentare di raggiungere l’obiettivo, senza alcuna garanzia di riuscirci. Quante famiglie crede si possano permettere di affrontare ulteriori spese e di impegnarsi in un percorso così lungo e complicato?
Le famiglie non hanno alternative: se non riescono ad assistere il malato al domicilio (24 ore al giorno di assistenza impegnativa, faticosa, spesso dolorosa), devono rivolgersi alle strutture di assistenza residenziale, i cui costi sono sempre più inarrivabili per una famiglia “normale”.

E’ per tutte queste ragioni, Presidente, che le chiediamo di assumere una iniziativa per trovare soluzioni più ragionevoli che, senza nulla togliere alla legittima necessità dell’Istituto da lei presieduto di tutelarsi dall’eccesso di ricorsi, evitino di far ricadere tutto ciò su pazienti e familiari già così duramente colpiti.
Restiamo in attesa.

Patrizia Spadin
Presidente AIMA


Redazione


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