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i ragazzi di Hotel 6 stelleIl pregio della docufiction Hotel sei stelle è stato quello di aver portato visibilità ad alcune condizioni di disabilità in un modo corretto: consapevole ma non serioso

La televisione, si sa, è talvolta vista come rampa di lancio alla quale molti ambiscono per ritagliarsi una carriera che si immagina rapida, facile, patinata. In altri casi, la scatola mediatica è invece un megafono che, poggiato su fatti o situazioni, li fa arrivare a conoscenza di tutti. Può essere anche diverse altre cose, ma in alcuni casi è la sintesi un po’ dell’una e un po’ dell’altra. E la cosa dà risultati sorprendenti.  Con i dovuti distinguo, mi è venuta in mente questa terza opzione, pensando a Hotel 6 stelle, la docufiction di Raitre che nella scorsa stagione ha portato nelle case degli italiani l’esperienza di inserimento lavorativo di sei ragazzi con Sindrome di Down in un hotel della capitale.

Puntata dopo puntata i telespettatori hanno avuto modo di conoscere Benedetta, Edoardo, Emanuele, Livia, Martina, Nicolas, alle prese con le piccole grandi paure, difficoltà, soddisfazioni o smarrimenti che comporta il primo lavoro, in particolare quando si è giovani (hanno tutti tra i 18 e i 31 anni). Ed erano Benedetta, Edoardo, Emanuele, Livia, Martina, Nicolas i protagonisti, con i loro impacciati primi giorni, con le loro uscite fuori luogo, con la loro precisa concentrazione, con i loro compiti eseguiti puntualmente, a venire raccontati e quindi conosciuti. Non altro.

Vedere la collega di Martina, cameriera ai piani, prenderla a braccetto per andare insieme in pausa pranzo, o il responsabile della reception verificare, punto per punto, il lavoro di Nicolas svolto così così, non ha mostrato dei ragazzi disabili al lavoro, ma dei ragazzi al lavoro. Il fatto che fossero Down – certo visibile e ben presente chiaramente ai telespettatori – è scivolato lentamente in secondo piano, facendo emergere le situazioni e le emozioni, il divertimento, un senso certo di affetto ed empatia nei loro confronti, ma mai pelosa, mai spinta, mai cercata forzatamente.

Questo prodotto televisivo di RaiTre e Magnolia,  realizzato in collaborazione con l’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) è riuscito, insomma, a centrare un importante obiettivo: quello di mostrarci la disabilità nella sua normalità, senza rinunciare al sorriso, scevra da imbellettamenti sdolcinati, e spoglia di quel retrogusto politically correct che è proprio ciò che allontana la disabilità dall’essere considerata normale.

Mostrare una persona con disabilità intellettiva al lavoro come la cosa più normale della terra è un traguardo per nulla scontato e per nulla banale. Ed è questo il secondo aspetto positivo di questo prodotto televisivo. Presentare la persona con Sindrome di Down in un contesto sociale, e in questo mostrarne le potenzialità anche sotto un profilo lavorativo è il successo di un programma che ha riscosso un ottimo consenso di pubblico, ma non solo.

Non si è infatti trattato solo di un programma  tv, ma anche di una occasione reale di inserimento occupazionale  per questi ragazzi. Al termine di Hotel 6 stelle, infatti, sono stati avviati 15 tirocini formativi per altrettanti ragazzi con Sindrome di Down o altre disabilità intellettive. Una cinquantina di aziende hanno contattato AIPD durante il programma, e  di questi contatti, undici si sono concretizzati in tirocini formativi e di orientamento, uno in  tirocinio socio-terapeutico e tre finalizzati all’assunzione. In corsa, altri sette tirocini sono in partenza e tredici in valutazione.

Un anno fa sarebbe stato impensabile un risultato del genere. Potere quindi della tv? Sì, e perché no? Preciserei della tv fatta bene. Come tutto,  anche la televisione è uno strumento che risponde e risulta utile o inutile,  vantaggioso o dannoso, sulla base dell’uso che se ne fa, sia di fruizione che di offerta. Mostrare la persona disabile in tv, e non solo la sua disabilità; mostrarne le capacità e le peculiarità, con anche le debolezze, certo, ma non fare della condizione il motivo e soggetto del prodotto o format è il modo giusto di dare spazio a queste realtà.

Il pregio di questo prodotto televisivo - che certo ne ha molti - è quello di aver portato visibilità ad alcune condizioni di disabilità in un modo corretto: consapevole ma non serioso, instillando nel pubblico consapevolezze nuove, magari anche solo domande senza risposta  (“Non avevo mai pensato che un ragazzo Down potesse fare il cuoco / Non mi sono mai chiesto cosa faccia una persona con Sindrome di Down finita la scuola / Chissà se nel mio ristorante potrei dare lavoro a un ragazzo con disabilità intellettiva/ Non immaginavo che una disabilità intellettiva potesse essere compatibile con alcune professioni…). E non è certo poco.

Sull’onda di questo successo, è in cantiere la seconda edizione della docufiction, ambientata stavolta in Sardegna, in un villaggio turisticoa cinque stelle a Villasimius, che andrà in onda su Rai 3 dal prossimo 14 novembre in seconda serata. Siamo curiosi di conoscere i nuovi protagonisti della serie, i nuovi Martina, Edoardo,  Benedetta, Nicolas, Livia,  Emanuele, che nella edizione numero due sono Alice, Daniela, Giordana, Andrea, Gabriele e Giovanni: ragazzi che lavorano. Punto.



Per info:

www.hotel6stelle.rai.it  



In disabili.com:

HOTEL 6 STELLE: INTEGRAZIONE PROFESSIONALE DEI GIOVANI CON DISABILITA'



Francesca Martin



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