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Una spilla per farsi cedere il posto in metropolitana può essere un modo per innalzare la consapevolezza sulle disabilità che non si vedono a occhio nudo?

 

Al tema delle "disabilità invisibili" abbiamo talvolta dato spazio anche su queste pagine, rendendoci conto che tutto il sottobosco di quelle condizioni invalidanti o di malattia che non sono visibili a occhio nudo soffrono un doppio prezzo: quello dell'essere, appunto, ignorate, e quello, peggiore, di essere addirittura messe in dubbio.

Chiariamoci: se nella nostra società non fosse necessario dimostrare di aver bisogno di qualcosa (quindi di aver diritto a un certo trattamento) o meglio, di essere messi in condizione di poter superare un ostacolo o affrontare una situazione, staremmo ora  a parlare del nulla. Ma poiché la nostra maturità civile non è ancora completata (sia nell'approccio alle persone, sia nella disponibilità di soluzioni concrete al superamento dei bisogni di tutti), è necessario interrogarsi sulla questione.

E torniamo a parlarne sullo spunto di una iniziativa nata in Inghilterra dove, primo caso (al mondo?) si sta avviando un progetto sperimentale che coinvolge gli utenti della metropolitana londinese.
In sostanza, le persone con problemi di salute "non visibili", potranno utilizzare una sorta di spilla con su scritto "per cortesia cedimi il posto". L'iniziativa "Please offer me a seat" segue a scia quella del "baby a bordo" che era stata realizzata per donne incinta.

Indossando questa spilla, in pratica, si rende visibile ai passeggeri della metropolitana di avere necessità di un posto a sedere. In questo modo non è necessario chiedere nulla, né spiegare: sarà questo simbolo a informare gli altri viaggiatori che si tratta di una persona che per vari motivi ha bisogno di fare il viaggio seduta e non affaticarsi.
Per ora si tratta di una iniziativa sperimentale che ha coinvolto un centinaio di utenti della tube, ed è accompagnata da una informazione a tutta l'utenza a cura della società dei trasporti di Londra, anche attraverso i social media, affinchè i passeggeri riconoscano queste spille e si comportino di conseguenza.

 Tra i partecipanti al test, riporta il sito della BBC, James McNaught, il quale ha realizzato, insieme ad altri viaggiatori, una spilletta "Cancro a bordo" , per avvisare gli altri passeggeri della propria condizione. Si tratta di una spilla che ha realizzato dopo aver fatto un viaggio in seguito alla chemioterapia. La radioterapia alla gola gli aveva reso impossibile parlare per chiedere un posto a sedere, e la morfina poteva farlo apparire ubriaco, riporta il sito. A quel punto l'idea di delegare la richiesta di un posto ad una spilla che avvisasse gli altri passeggeri. "Sono molto felice che la società dei trasporti abbia deciso di avviare questa sperimentazione. Una spilla o un segnale possono aiutare a fare realmente la differenza nella vita di chi sia sotto trattamenti farmacologici o in condizione di malattia o disabilità", ha dichiarato alla BBC.

Se nel caso di impossibilità fisiche e concrete a esprimere il proprio bisogno (penso ad una persona che non parla, ad esempio autistica), questa idea sembra superare difficoltà oggettive, ci si può chiedere per tutti gli altri casi: è quindi questa la strada da seguire? "Educare" il prossimo al fatto che esistano bisogni non immediatamente visibili  passa per l'esposizione di una richiesta di aiuto? E poi, è, questa, la strada per il riconoscimento di diritti di tutti? Sulla questione ha le idee chiare la nostra amica Lila, che già sulle nostre pagine ci raccontò la frustrazione di dove "dimostrare" la propria disabilità (vedi qui). Lila, le chiedo, cosa ne pensi di questa iniziativa?

"Dunque, se da una parte un'etichetta incentiverebbe le persone a sollevare le terga dai sedili (specialmente da quelli riservati alle categorie fragili) dall'altra essendo un'etichetta autoimposta farebbe da aborto a ciò che da tempo promuovo: se vuoi l'ultima mela dell'albero, vai e prenditela. Non aspettare che qualcuno lo faccia per te, sali su quel cavolo di albero e mangiati la mela. "Scusi, le chiedo una cortesia, potrebbe farmi sedere che non mi sento bene?" O che sto poco in piedi, o che mi sento debole, o che sono al primo mese di gravidanza e sono piena di nausee, o che... ognuno metta il suo che, ma lo metta di sua volontà. Una spilletta non farebbe che mettersi fra l'intraprendenza di una persona e la propria esistenza nel mondo. Non è una cosa malvagia la spilletta in sé per sé, sappiamo bene cosa significhi essere invisibili e sappiamo altrettanto bene che le persone non lo sanno proprio perché spesso appariamo perfettamente normodotati, ma verrebbe meno la spinta al voler stare al mondo.
Non so se riesco a dare una panoramica chiara del mio pensiero. Mi metto empaticamente la spilletta sul bavero del cappotto... e me la tolgo, perché da sempre preferisco chiedere, con cortesia e delicatezza. Se oggi non ho il coraggio di chiedere un posto sul bus o sulla metro, domani potrei non averne per farmi scaricare la carrozzina dalla macchina, potrei non voler più guidare, potrei non voler uscire senza Principi Azzurri che mi diano una mano... Indipendenza ed iniziativa rendono la vita longeva.
In finale Lila conclude: "Potrebbe essere intelligente farne una cosa ad uso personale: chi non si sente o non può prendersi la mela può assumere la spilletta per farsela cogliere".

Vi lascio con la provocazione di Lila, col suo punto di vista scomodo, col suo scuoterci, in attesa dei vostri pareri sull'opportunità e le modalità del "cogliere la mela".


In disabili.com:

Io non sono la mia disabilità

"Sono tutte storie": la solitudine invisibile della disabilità emotiva


Francesca Martin


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