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barriere architettoniche: cartello con scritto vorrei prendere il trenoMostrare nel concreto cosa significa nel quotidiano "barriere architettoniche", è obbligare gli altri a non voltare la testa per non vedere

Belli i saldi, peccato che in quel negozio non riesco ad entrare; Bella l'estate, peccato che non posso toccare l'acqua del mare con le mani perchè… chi ci arriva!? Bello viaggiare, peccato che non posso prendere l'autobus senza dover programmare la cosa con giorni di anticipo  e telefonate di corredo… E' questa la traduzione reale e concreta di quella parola che usiamo tanto, spesso pomposamente e seriosamente, che ha come significante "barriere architettoniche", e che a riempirla di significato, appunto, indica proprio questo: essere impediti dall'ambiente nel fare cose normali.

E allora, per smuovere un po' le coscienze, al di là delle campagne di comunicazione ed esercizi di civilta "su carta", come si fa con i bambini è forse meglio mostrare nei fatti  e in parole povere cosa significa sulla pelle avere una disabilità che continuamente si trasforma in un handicap.  Perché handicap e disabilità, lo ripetiamo all'infinito, non sono la stessa cosa: se la disabilità è una perdita o assenza di capacità operative a livello personale, è poi l'ambiente circostante - sia fisico che sociale - a trasformarla in handicap, in svantaggio, nel momento in cui non sia attrezzato ad accoglierlo con adeguati strumenti.

Posso quindi essere su una sedia a rotelle, conviverci "serenamente", accettarla e imparare a considerarla uno strumento che in qualche misura fa parte di me , ma questa condizione si trasforma in handicap quando lì fuori tutto è fuori dalla mia portata. Non lo sai, tu, "normodotato"? Allora te lo dico, ti mostro cosa posso e non posso fare in questa città dove vorrei fare la spesa come tutti, entrare al cinema come tutti, fare una passeggiata come tutti, dove pago le tasse come tutti. Forzare magari la mano, sì, battere sulla spalla delle persone e digli "vieni a fare un giro con me, ti mostro come si vive su una carrozzina" è un modo per svegliare le coscienze, trovare alleati in una battaglia di civiltà che ha obiettivi molto concreti.

E' questa una modalità di "comunicazione sociale" vincente che a mio avviso si sta facendo strada in questi tempi, dimostrando anche una nuova apertura delle persone disabili, che si sono stancate di nascondersi, di essere invisibili, interessate invece sempre più a cercare come interlocutori, oltre alle istituzioni, anche tutti gli altri, i non disabili.  Diverse iniziative interessanti stanno utilizzando proprio questa formula, resan possibile anche grazie agli straordinari strumenti che il web ci mette in mano.  Sempre più successo riscuotono le "Skarrozzate": appuntamenti nei quali cittadini qualsiasi possono provare a mettersi materialmente nei panni di una persona in carrozzina, sperimentando un giro in città a bordo di una sedia a rotelle; ma anche il progetto universitario di un gruppo di studenti universitari di Padova che hanno tappezzato alcune vie della città di foto nelle quali si mettono in evidenza barriere architettoniche e relative ipotetiche (e semplici, spesso) soluzioni. L'ultima in ordine di tempo è l'iniziativa che sta diventando virale sui social, #vorreiprendereiltreno: la provocazione di Jacopo Melio, ragazzo carrozzato, che, tra le altre cose, dice: non posso nemmeno permettermi una storia d'amore, di quelle da film che nascono tra gli scompartimenti, perché io in treno manco ci posso salire. Una buona dose di ironia, quindi, ma un messaggio serio e diretto ai politici, alle istituzioni: non siamo persone di serie b.

Mostrare la disabilità e farla conoscere  a chi disabile non è, è uno approccio che avvicina le persone, le rende consapevoli, inserisce la disabilità nella normalità di tutti i giorni. E quando sarà finalmente cosa normale, sarà normale che l'ambiente sia attrezzato per far sì che tutti possano prendere un treno, visitare un museo, guardare un film al cinema.  Non differenziare, ma eguagliare, universalizzare, normalizzare. In parole povere, smettiamola con il "noi vs loro" e puntiamo dritti verso il "noi".


IN DISABILI.COM:

Crescere e' anche aprire le porte alle diversita'

La disabilita' come cosa normale e' un concetto cosi' difficile?


Francesca Martin

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