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vignetta stampelle e cervelloIn occasione della Giornata internazionale delle persone disabili, qualche riflessione sulla percezione della disabilità da parte di chi disabile non è

"Il rispetto per la dignità intrinseca, l'autonomia individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte, e l'indipendenza delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l'accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell'umanità stessa; la parità di opportunità; l'accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità"


Basterebbe questo, il testo dell'articolo 3 della Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, che l'Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato nel dicembre 2006, per dire tutto quello che c'è da dire oggi, Giornata Internazionale delle persone con disabilità. Ogni anno, dal  1993, in Europa il 3 di dicembre è come se si accendesse un faro sulla disabilità. Ma cosa significa essere disabile, oggi, in Italia?
Significa in larga parte avere bisogni inespressi, significa cercare risposte dalle istituzioni che spesso mancano, significa dover fare i conti con i soldi che non bastano, significa ancora sentire su di sè gli sguardi degli altri, significa dover dimostrare che no, non si ha riacquistato la vista da un anno all'altro. Significa dover rinunciare a uscire di casa, significa non avere una maestra di sostegno che ci segue, significa dover scendere le scale della metropolitana a braccia e elemosinare fondi per poter vivere dignitosamente in casa propria, significa fare la fila il doppio all'ufficio di collocamento.

Significa affrontare una serie di difficoltà materiali, sociali ed economiche per sé e la propria famiglia. Significa anche domandarsi perché e tante volte non trovare risposta. Ma significa al contempo cercare  e trovare soluzioni alternative alle cose che tutti fanno, tutti i giorni, in maniera automatica. Significa, in definitiva,  essere. Essere su una sedia a rotelle, essere ciechi, essere sordi, ma essere. Siamo, viviamo, esistiamo, ci innamoriamo, ci arrabbiamo, mangiamo e ci divertiamo. Non siamo extraterrestri, ma persone con facoltà magari ridotte, con bisogni particolari, ma per il resto in tutto e per tutto siamo, come chiunque.

E' questo (e molto altro) quello che vorremmo dire a chi disabile non lo è. E perché non iniziamo a dirglielo, aiutando ad abbattere quelli che spesso sono ancora muri, invisibili, ma muri? Una cosa simile la fa Rachelle Friedman, blogger e ambasciatrice della  community di persone con lesione midollare, che qualche giorno fa ha scritto per l'Huffington Post un pezzo dal titolo: "Ten things you shouldn't say to someone who uses a wheelchair" (Dieci cose da non dire a qualcuno che usa una carrozzina).

"Ho sentito cose abbastanza folli uscire dalla bocca della gente, da quando sono su una sedia a rotelle!", inizia Rachelle, che ammettendo la buona fede delle persone, mette in ridicolo alcune espressioni che spesso ci si sente rivolgere da chi non vive o non ha particolare familiarità con la disabilità di una persona in carrozzina. Qualche esempio del suo decalogo:  "Sei molto carina per essere su una sedia a rotelle", come se la disabilità rendesse brutti e tristi. Ma, al di là di questo, dice Rachelle, se vuoi farmi un complimento va benissimo, ma tieni la carrozzina fuori dalla cosa!

E questa difficoltà della gente di percepirti come persona, al di là delle tue quattro ruote e telaio, è ripresa anche in un secondo punto della lista di Rachelle, che dice "Non dirmi che sono un'ispirazione". Precisa Rachele che sì, a volte è ok sentirselo dire, e comprende il punto di vista e lo spirito come cui una persona "normodotata" possa pensarlo, ma lo stesso, stona. Vuole dire Rachelle, "non sto facendo nulla di straordinario, sono una ragazza che guida, fa la spesa, si diverte, esce. Ah, è vero, sto sulla carrozzina.  Ma non faccio nulla di straordinario, e se capitasse anche a te quello che è successo a me, ti stupiresti di scoprire questa forza che adesso ti sembra così eccezionale su di me".

"Parcheggio qui solo per un minuto". Quante volte lo sentiamo dire? Rachelle dice che è la scusa numero uno che lei e i "carrozzati" si sentono rivolgere quando qualcuno parcheggia su un posto riservato ai disabili. Ebbene, dice Rachelle, al di là che di solito non è vero che è solo per un minuto (!), si dimentica forse che chi ha bisogno di quel posto ha, esattamente come tutti, appuntamenti e cartellini da timbrare. Un po' di rispetto, quindi! E questa frase fa il paio con un'altra: "Mi fa piacere vederti in giro!". Pensano forse che chi è in carrozzina sia un eremita?? Quanto poco siamo abituati a vedere la disabilità per strada! Non parliamo poi di quando qualcuno si rivolge a noi con una vocina da "maestra dell'asilo", dice Rachelle. "Non capisco perché qualcuno che incontro per la prima volta debba parlarmi con quel tono, come se fossi una bimba…".

Questi sono solo alcuni esempi, che tra l'altro possono valere non per tutti, ma è un modo utile per aiutare la gente a capire. Dice Rachelle a questo proposito ai lettori: "Se hai pronunciato qualcuna di queste frasi, non sentirti sbagliato (a meno che tu non abbia rubato un parcheggio riservato a un disabile!). Non siamo arrabbiati o offesi, vogliamo solo aiutare la gente a capire. Non siamo di ispirazione perché viviamo la nostra vita di tutti i giorni; i compagni o partner di una persona con disabilità non sono eroi: semplicemente amano l'altra persona come chiunque altro".

Tutti questi esempi fanno capire, con un pizzico di quell'arma potente che è l'ironia, quanto ancora ci sia da lavorare anche sulla percezione stessa della persona con disabilità, da parte di chi non sia disabile. E quando si parla di barriere culturali si parla anche di questo. Iniziamo da qui per abbattere un po' di muri!

Francesca Martin

Ps: quali sono le frasi che non sopportare di sentirvi dire? Se vi va, scrivetecele! A questo link, invece, trovate la lista completa di Rachelle, nell'articolo dell'Huffington Post.


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